guerra di parole

Bucha, Paolo Mieli smentisce Zelensky sul genocidio: l'errore del presidente ucraino

Giada Oricchio

Il linguaggio ha una sua importanza, anche in guerra. Ne è convinto Paolo Mieli. L’ex direttore, sul Corriere della Sera, ha spiegato che il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, talvolta ricorre a paragoni impropri. Dopo aver ricordato che il Wall Street Journal si è giustamente domandato perché Zelensky non si limiti a definire queste atrocità “crimini di guerra” anziché “genocidio”, Mieli ha sottolineato che ha ripetuto l’errore commesso quando tenne un discorso alla Knesset assimilando l’orrore nel suo Paese alla Shoah: “Che bisogno c’è di ricorrere ad una comparazione ad ogni evidenza impropria? Un vero genocidio lo può trovare nella storia del proprio Paese e nella sua memoria”. Cioè l’Holodomor, la carestia che tra il 1932 e il 1933 causò milioni di morti in Ucraina per volere dell’URSS.

“È documentato che Stalin intendesse sbarazzarsi di quei contadini ritenendoli potenzialmente ribelli. Li affamò deliberatamente, chiudendo i confini della regione, requisendo il grano e lasciandolo a marcire in silos sorvegliati da militari” ha scritto il giornalista aggiungendo: “Il fatto che ancora oggi si discuta tra gli storici se possano essere definiti genocidio quei lugubri eventi di novant’anni fa dovrebbe indurre Zelensky e i suoi a maneggiare con maggiore cautela la definizione degli atti criminali di cui attualmente sono vittima. Prima o poi i russi potrebbero adottare tecniche genocide nei confronti delle popolazioni non russofone che abitano nelle regioni sotto il controllo dell’esercito con la Z. A quel punto potremmo pentirci di aver sprecato quella parola per descrivere la tragedia di Bucha, Mariupol e di molte, troppe, altre città”.