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Centrosinistra, da campo largo a piazza stretta. Ed Elly in trincea

Roberto Arditti
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Un tempo si diceva «campo largo», oggi si potrebbe dire «piazza stretta». Stretta perché non ci stanno tutti, stretta perché non è condivisa. Nelle manifestazioni di questi ultimi giorni in tema di Europa e investimenti nella Difesa lo schema è uno solo: Giuseppe Conte da una parte, Elly Schlein dall’altra. Mai insieme. E soprattutto mai d’accordo su chi rappresenti davvero il volto dell’opposizione. Giuseppe Conte ha fatto delle piazze la sua dimensione naturale. Dopo il buon risultato delle Europee 2024 – dove il Movimento ha retto, consolidando il suo consenso tra i delusi del centrosinistra e i ceti popolari del Sud – l’ex presidente del Consiglio ha rafforzato la sua leadership verticale. Il M5S è ormai impermeabile a discussioni interne: non ci sono congressi, non ci sono correnti, non c’è più nemmeno Beppe Grillo: c’è solo lui. E il suo modo di fare opposizione è semplice quanto efficace: presidiare ogni malcontento, intercettare ogni disagio, intestarsi ogni «no». Elly Schlein, invece, è in un momento delicatissimo.

 

 

 

Il PD è uscito dalle Europee con un risultato buono, ma da allora la segreteria è entrata in una fase di fibrillazione costante. I riformisti premono per rientrare in cabina di regia. I centristi preparano il regolamento di conti per il prossimo congresso. E intanto, la base è confusa: in tema di Europa della Difesa il M5S parla più come la Lega che come il PSE. Schlein appare in posizione defilata. Parla, ma non guida. Sostiene, ma non mobilita. L’impressione è che la sua sinistra, quella dei diritti e della giustizia sociale, sia ancora vista da molti elettori come troppo teorica, troppo «da ZTL». Il M5S parla a un suo popolo, il PD parla ancora troppo spesso ai «quadri». Il M5S interpreta la piazza come legittimazione politica, il PD la vive come sostegno tattico. Il risultato? Nessuna strategia comune, nessun fronte unito, nemmeno una foto insieme (non basta certo la delegazione guidata da Francesco Boccia a risolvere la situazione). Giorgia Meloni non è più nel momento d’oro del post-elezioni (anche se i sondaggi sono buoni per la maggioranza), ma la divisione del fronte progressista continua a farle un regalo: l’assenza di un’alternativa credibile.

 

 

La premier sa che, finché Conte e Schlein si marcano a distanza, il «rischio opposizione» resta contenuto. Soprattutto perché, a oggi, non esiste una piattaforma comune, un’agenda condivisa, una visione unificata del futuro. In questo aprile 2025, le piazze parlano chiaro. C’è protesta, c’è voglia di rappresentanza. Ma non c’è sintesi. Conte appare tatticamente all’attacco, Schlein è decisamente sulla difensiva. In controluce la strategia dell’ex premier è ormai chiara: proporsi come una figura credibile per tentare la spallata alle prossime elezioni, puntando a Palazzo Chigi. La strana coppia non balla e si capisce perché: i ruoli da manuale sono due, guidatore e seguace, ma tutti e due concepiscono (per sé) solo il primo.

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