
Palestina, "Hamas vattene da Gaza": una protesta nata non a caso

Non è un fuoco di paglia, non si tratta affatto di proteste disorganizzate e sporadiche quelle in corso da alcuni giorni a Gaza. Per la prima volta il potere assoluto e terroristico di Hamas, che non si è abbattuto solo contro gli israeliani (causando più di 10mila morti e 80mila feriti) ma schiaccia il popolo palestinese, è messo in discussione da una ribellione di massa. Ce n’era già stata una nello scorso ottobre, ed Il Tempo era stato il solo giornale a parlarne in una intervista del 14 ottobre realizzata con me da Rita Cavallaro. Allora erano state quattro famiglie beduine (Dagmash, Al Madhoun, Al Najjar, Al Agg) composte ciascuna da mille e più componenti a sollevarsi contro Yahya Sinwar. Il quale mandò le sue squadracce a operare un massacro: le vittime furono 1.500, e furono messe in conto a Israele. Stavolta ai beduini si sono unite migliaia di persone, con il consenso di una maggioranza silenziosa che sa di non avere nulla da perdere.

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È paradossale, ma oggi la sola speranza di fermare il conflitto è l’incendio della disperazione, che sta facendo esplodere la rabbia dei palestinesi comuni contro Hamas, che oggi rappresenta agli occhi dei ribelli una élite proterva, che ha trattato persino i bambini come carne da cannone, con la miserabile finzione di dichiararli martiri. Ora il gruppo terroristico è capeggiato da Mohammed Sinwar, il fratello di Yahya. Migliaia di palestinesi spinti dalla fame e dalla prospettiva della morte dei propri figli hanno marciato tra le macerie di Beit Lahiya, nel nord di Gaza. Lo slogan dominante: «La gente vuole la caduta di Hamas». La parola d’ordine: «Fuori, fuori fuori! Hamas vattene via!» è stata scandita per tutta la giornata e rappresenta lo scopo di quella che non è ancora una sommossa. La cacciata di Hamas e in primis dei Sinwar, come è capitato alla famiglia Hassad e ai suoi seguaci in Siria. Per la prima volta Hamas ha ammesso l’esistenza di una opposizione in casa propria. Un loro dirigente ha ufficialmente definito i manifestanti «traditori» e «megafoni di Israele».

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In realtà l’alleanza che promette di essere decisiva è quella con Al Fatah. Alcuni tra i capi beduini e di altre componenti civili di Gaza si sono incontrati con il capo dell'intelligence dell’Autorità Palestinese, Majid Farag. Abu Mazen punta, grazie anche a questo sostegno dentro, la Striscia a stabilire un accordo diretto con Israele. Egitto, Arabia Saudita, Emirati, e una parte della Cia appoggiano questa partita. Intanto Hamas sta cercando di mantenere il controllo. Durante la tregua Sinwar ha accumulato rifornimenti per un anno. Ha ricostruito buona parte dei tunnel distrutti, i cui ingressi e le cui uscite non sono noti. Soprattutto ha l’infame «tesoro» degli ostaggi. Ne ha 59, di cui 24 sono vivi e 35 morti. Il Mossad non è stato finora in grado di localizzarli. La massa che protesta (sostenuta da un milione di persone, secondo i calcoli delle intelligence) vuole, cacciando Hamas e restituendo gli ostaggi, guadagnarsi la possibilità di restare nella propria terra.
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