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Benigni e il fighettismo sinistrorso

Gianluigi Paragone
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«Nel Manifesto di Ventotene c’è l’idea di un’Europa unita, non era un’idea nuova ma per la prima volta quest’idea diventa un progetto politico, un programma realizzabile». Figurarsi se Roberto Benigni non si tuffava nell’attualità per mettere un po’ di bollicine a un one man show onestamente scarico nelle battute. Ma nel replicare al discorso di Meloni, Benigni è inciampato nella stessa pietra dove capitola il fighettismo sinistrorso: la sacralizzazione di quel che loro toccano, maneggiano, predicano. «Certamente contiene alcune idee superate - ha ammesso Benigni - Ma Altiero Spinelli stesso lo ha detto e ripetuto più volte, era pur sempre il 1941. Ma non per questo viene meno la sua visionarietà. Sarebbe come dire buttiamo la Bibbia perché c’è scritto che il sole gira attorno alla terra…». Eccola lì la pietra d’inciampo: aver pensato di poter allineare con una torsione superba il Manifesto di Spinelli con la Bibbia! Lo ha fatto Benigni e lo hanno fatto indirettamente tutti coloro che nelle recenti 48 ore hanno urlato alla bestemmia in chiesa: sacrilegio, la Meloni ha offeso l’antifascismo, Spinelli, l’Europa. Nel leggere alcuni passaggi del Manifesto, Meloni ha laicizzato un pensiero politico lungamente santificato, idolatrato com’è uso fare nelle fabbriche dei miti alternativi: la sinistra lo ha fatto (anche) con Spinelli, nel cui nome si saldano la resistenza al regime fascista e l’illusione di un progetto europeista che, messo in controluce, è delirante. Il testo di Spinelli, un signore che aveva aderito al partito comunista nel 1924 salvo esserne espulso nel 1937 per trozkismo, può essere criticato e persino demolito. Come hanno fatto, tra gli altri, Luca Ricolfi intervistato dalla Stampa, e Lucio Caracciolo nel suo ultimo libro «La Pace è finita». «Se i pacifisti avessero letto e studiato attentamente il Manifesto - ha commentato Ricolfi - scoprirebbero che era un progetto profondamente anti-democratico, con una visione giacobina dei rapporti tra élite e popolo». Commento che si fa ancor più severo e pungente con Caracciolo, laddove sul passaggio di Spinelli «La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria», sentenzia: «C’è molto Lenin in questo verdetto». Inconfutabile.</DC> La Meloni, dunque, ha spogliato un testo, costringendo a un esercizio per cui o lo si blocca nella lotta al fascismo o lo si propone come pietra angolare della costruzione europea e dunque lo si può desacralizzare. Il Manifesto è delirante. E il coro (Benigni, Repubblica, i piddini piangenti e plaudenti) che ne sorregge la melodia è retorica: cos’ha infatti di democratico o di politico l’Ue? È una tecnocrazia che oggi deve fare i conti con il fallimento dell’illusione irenica: grazie all’euro non avremo più guerre, dicevano. Invece le guerre ci sono e l’Europa nell’accaparrare armi consente agli Stati di indebitarsi sempre più, stringendoli tra l’aggressività reale dei mercati finanziari e lo spauracchio ipotetico di Putin.

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