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Spinelli e Rossi, perché le strade si divisero

Luigi Tivellli
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Nel suo editoriale di ieri il direttore del Tempo, Tommaso Cerno, ha colto con fine intelligenza politica il conflitto anche violento tra cultura liberale e cultura comunista che animò la saga entro la quale si svolgeva l’elaborazione del Manifesto di Ventotene. Ovviamente tra i confinati prevalevano spunti o cascami di cultura comunista e lo stesso Spinelli soffriva di contaminazioni trozkiste. Di qui le frasi e i passaggi che denotano una strana visione socialcomunista con derive neogiacobine nel Manifesto. Ben pochi hanno annotato, però, che l'evoluzione delle vicende successive degli autori confermano tale divaricazione e differenza tra la componente filo-comunista e quella liberale. Forse anche lo stesso Ernesto Rossi ha dovuto sostenere una battaglia per inserire qualche aspetto liberale e libertario nel Manifesto. Ma il punto è di guardare a come si divaricarono le strade successive di Spinelli e Rossi, visto che nel 1944 il terzo autore Eugenio Colorni morì vittima della violenza fascista. Di Altiero Spinelli però non rimasero sostanzialmente altre tracce significative di pensiero successive escluso l’intenso e tenace impegno europeista e federalista e la sua autobiografia. Spinelli, poi, soprattutto - non a caso - fu eletto prima al Parlamento nazionale e poi al Parlamento Europeo, proprio nelle liste del Partito Comunista. Ernesto Rossi, invece, ci ha lasciato tracce fondamentali nei suoi libri e nelle battaglie sostenute sul Mondo di Pannunzio o nei convegni degli Amici del Mondo, impregnate di vera e sana cultura liberale e per qualche aspetto libertaria. Una cultura che poi è evoluta sin dagli anni 50 verso un pensieri liberale molto legato agli insegnamenti di Luigi Einaudi, shakerata con una incredibile capacità di polemica economica. L'attualità del suo pensiero è, quindi, ancora oggi cruciale. Scrisse infatti libri fondamentali sui nodi dell’economia italiana come «I padroni del vapore», sugli oligopolisti italiani e i veri lasciti corporativi del fascismo per l'economia e la società italiana. Si impegnò allo spasimo contro il troppo statalismo e per le liberalizzazioni. Guarda caso statalismo, peso eccessivo del settore pubblico, assenza di liberalizzazioni sono ancora oggi i nodi che stringono al collo l’economia e la società italiana, impedendo la crescita in un Paese in cui sostanzialmente da quasi trent'anni il Pil quasi non cresce. Peccato, invece, che quello dei comunisti e dei postcomunisti sia sempre stato un «europeismo a targhe alterne»: come un anguria verde di fuori ma rossa dentro... Nel 1978 proprio loro, infatti, con il voto contro il Sistema Monetario Europeo conclusero la fase politica della Solidarietà Nazionale, mentre oggi sulla questione europea sono spaccati in due come una mela. Invece per i nostri governanti, di ieri e di oggi, di sinistra e di destra, riscoprire il pensiero di Ernesto Rossi sarebbe la cosa più opportuna. Tanto per il futuro dell’Italia quanto per quello dell’Europa.
 

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