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Sinistra unita solo se si trova il “fascista” di turno. Sennò si disperde

Roberto Arditti
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Mentre la situazione internazionale impone alle classi dirigenti europee di togliere la testa dalla sabbia e fare finalmente i conti con la realtà, in Italia le opposizioni hanno capito che possono solo passare il tempo parlando male del governo e della maggioranza, perché se dalla critica passano alla proposta si trovano immediatamente frantumate come neanche nella peggiore riunione di condominio della storia si potrebbe immaginare. In particolare è il tema delle prospettive di tregua in Ucraina con ruolo attivo (quindi militare) dell’Europa a far implodere quella che vorrebbe (forse) essere una coalizione, ma che invece proprio non riesce ad esserlo, divisa com’è in almeno quattro posizioni tra loro inconciliabili.

 

 

C’è infatti una linea lib-lab che guarda con favore ad investimenti nella difesa, che apprezza (non senza qualche distinguo) Macron, Starmer e von der Leyen, che chiede all’Europa di costruire una più solida alternativa all’America di Trump: qui c’è buona parte del Pd (molti di quelli che scelsero Bonaccini per la segreteria), ma ci sono anche Renzi, Calenda, i radicali. In polemica durissima con l’impostazione appena citata è però la segretaria del Pd Schlein, che vuole invece collocare il partito su una posizione difficile da afferrare (la parola pace è facile da usare, ma alla prova dei fatti ti scappa da tutte le parti, un po’ come il gelato in piena estate), ma che ha un obiettivo chiarissimo: dimostrare che quelli di cui sopra hanno torto.

 

 

Poi c’è la sinistra-sinistra, che la pensa tutto sommato come Schlein ma non vuole dirlo nemmeno in solitudine davanti allo specchio, quindi costruisce con Bonelli e Fratoianni un racconto alla Bartali («tutto sbagliato, tutto da rifare») che serve essenzialmente per dire una solo cosa: c’è vita a sinistra del Pd. Infine c’è il movimento di Conte (lasciamo stare le cinque stelle che sono archeologia), che fa un’operazione ancora diversa: critica Bruxelles a manetta, strizza l’occhio (senza dirlo) alle oggettive convergenze dell’asse Trump/Putin e cerca di raccogliere consensi negando ogni disponibilità a sostenere investimenti sulla difesa. Ora, diciamo la verità: se mettiamo a confronto le divisioni (che pure ci sono) del «rassemblement» Meloni con quelle delle opposizioni possiamo solo concludere che a destra sono dei dilettanti in materia di divergenze tra alleati (o potenziali tali). C’è però un punto su cui a sinistra tutti scattano come un sol uomo: quando devono trovare il «fascista» del giorno, quello (o quella) che viene buono per l’assalto polemico di giornata. Un po’ poco per pensare di governare insieme, mi sa.

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