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In Siria un colpo a Russia e Iran, grazie a Netanyahu

Roberto Arditti
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Messaggio molto chiaro ai perdigiorno in servizio permanente effettivo, ai nobili sognatori a vanvera della Corte Penale Internazionale ed ai professionisti della “melina” innamorati dell’inconcludente “Soft Power”: armi in pugno brigate scomposte di ribelli prendono il potere in Siria spodestando l’orrendo regime alawita degli Assad, una delle più disgustose creature politiche del Medio Oriente arrivata sino ai nostri giorni esclusivamente grazie a sostegni internazionali, quello iraniano in primis e quello russo in secundis. È questa la volta buona del trionfo della democrazia a Damasco e territori collegati (meglio chiamarli così, la Siria come nazione non è mai esistita)? Neanche per sogno, i ribelli sono estremisti islamici al momento travestiti da moderati, ma sul cui travestimento non c’è da scommettere nemmeno un quarto di dollaro. Cos’è allora questa storia siriana, dove poche migliaia di miliziani male armati e male addestrati sventrano la satrapia regnante da 54 anni in meno di un mese (Libia, on my mind)? È il frutto di molti fattori, come sempre. Ma uno è più importante di tutti, uno preciso, un fattore che le anime belle delle cancellerie europee da spritz all’ora dell’aperitivo ed i grilli parlanti delle sinistre unite nell’abbraccio ai nostri carnefici con bandiere “Free Palestine” debbono ficcarsi in quelle zucche semi-vuote: la brutale risposta israeliana alla dichiarazione di guerra del 7 ottobre si sta rivelando il più importante fattore di cambiamento del Medio Oriente.

 

 

Chi non lo capisce è scemo, chi fa finta di non capirlo vuole il nostro male. Ieri Netanyahu ha detto che Israele è disponibile ad un futuro di convivenza con i nuovi poteri siriani, ma ha detto anche che le forze armate stanno già operando per prendere il controllo dei varchi di frontiera abbandonati dalla polizia di Assad. Quindi il messaggio è chiaro: bene il cambiamento ma il futuro è tutto da scrivere. Ad ogni modo resta il fatto che le attività militari dell’IDF a Gaza e in Libano, combinate con quelle di intelligence in Iran e Siria hanno stroncato Hamas, messo in ginocchio Hezbollah e costretto alla difensiva Teheran, il tutto con scarsissimo sostegno europeo (UK a parte, ancora una volta i più solidi del gruppo), supporto logistico americano (e giordano) e pieno assenso politico saudita.

 

 

Assad non è mai stato in grado di reggere da solo, l’Iran stavolta non ha potuto intervenire (l’ha sempre fatto mobilitando Hezbollah), i russi hanno altro a cui pensare (ma ora dovranno capire che fine fa il loro unico porto sul Mediterraneo a Tartus), gli altri leader islamici lo detestano: così è venuto giù tutto. Siamo dunque all’equilibrio virtuoso? Neanche per sogno, le tensioni sono fortissime e le ferite sanguinanti. Però si intravede un asse potenzialmente in grado di agire con efficacia: Israele e Turchia (per la prima volta da anni a questa parte più o meno in sintonia) pronti ad agire, USA e Arabia Saudita a coprire le spalle. Intanto noi europei abbiamo organizzato una splendida cerimonia per la riapertura di Notre-Dame. Vabbè, è già qualcosa.

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