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Minzolini: la Francia di oggi è lo specchio della vecchia Italia

Augusto Minzolini
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Magari ce ne siamo dimenticati ma la Francia di oggi è lo specchio dell’Italia di sei anni fa. Quella che in pieno stato confusionale fu governata da due governi guidati da Giuseppe Conte ma con due maggioranze speculari opposte: una formata da grillini e leghisti, l’altra da 5stelle e Pd. A Parigi Le Pen e Mélenchon non sono al governo insieme ma la caduta del governo Barnier nasce da un’operazione simultanea (e concordata) tra il populismo di destra e quello di sinistra. Un meccanismo perverso che farà tanto piacere a Marco Travaglio o agli amanti delle maggioranze rossobrune quanto rischia di mettere la Francia in ginocchio sul piano politico, economico ed internazionale. Ora noi che ci siamo passati dovremmo essere d’esempio e tenere ben in mente la lezione. L’idea di evitare uno sbocco elettorale, al costo di inventarsi formule stravaganti e mettere in piedi maggioranze contraddittorie rispetto al consenso elettorale, ritarda e aumenta i problemi, non li risolve.

 

 

L’Italia ha avuto il miglior esperto in operazioni spericolate, l’ex presidente Giorgio Napolitano, che ha fatto scuola al Quirinale. Ora che quelle cronache politiche si vedono sempre più con gli occhi imparziali della Storia, appaiono più nitidi i «pro» e i «contro». Il «no» alle elezioni dopo la fine dell’ultimo governo Berlusconi uno può dire ciò che vuole - portò al governo Monti ma anche all’esplosione del fenomeno grillino. Più o meno lo stesso risultato ebbe il «no» di Mattarella allo sbocco elettorale dopo la fine del governo Renzi. Anzi quella scelta pervase di follia la legislatura seguente: prima un governo gialloverde, poi un governo giallorosso e, quindi, Draghi. E proprio l’approdo al governo Draghi e non al voto anticipato premiò nelle urne l’unico partito che ne restò fuori, quello di Giorgia Meloni. Questo per dire che se c’è una «tecnica» per abbeverare il populismo di ogni colore e quello di privare un’opinione pubblica della possibilità di votare.

 

 

Uno può dire: sì però abbiamo salvato il Paese prima con Monti e poi con Draghi. Forse, ma non bisogna dimenticare che il populismo nella stanza dei bottoni (e al momento non è certo il caso del governo Meloni) per aumentare consenso o sopravvivere sforna sempre provvedimenti demagogici che nel tempo diventano letali: basta pensare al reddito di cittadinanza che avrebbe dovuto abolire la povertà; oppure al «superbonus» che avrebbe rimesso in piedi il patrimonio immobiliare italiano per dirla con Giuseppe Conte: «gratis». Delle conseguenze di quel «gratis» ne abbiamo ancora drammatica contezza nel bilancio dello Stato. Ecco perché la lezione italiana dovrebbe suggerire a Macron di non dilettarsi nel ruolo di apprendista stregone per evitare le elezioni. Corre solo il rischio di moltiplicare i guai della Francia. In Italia, invece, visto che si parla di riforme istituzionali o di premierato, uno può essere a favore o contro, ma sicuramente serve uno strumento che garantisca ai cittadini di tornare a votare.

 

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