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Usa, Trump minaccia i Brics anti-dollaro: la ritorsione

Roberto Arditti
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«They can go find another sucker» (possono andare a cercare un altro fesso). Così Donald Trump nella notte (europea) tra sabato e domenica, su un tema che serve a farci capire la «postura» che avrà il suo secondo mandato: la centralità del dollaro nelle transazioni internazionali, usato come prevalente moneta di scambio. Il fatto è che i Paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) stanno ragionando intorno ad una proposta avanzata del Presidente brasiliano Lula, che vorrebbe mettere allo studio un sistema di pagamenti alternativo a quello centrato sulla moneta americana, il tutto mentre è la Russia a detenere la presidenza del club per il 2024 (ne fanno parte anche altri paesi come l’Egitto, l’Etiopia, gli Emirati Arabi, l’Iran e l’Arabia Saudita). Trump reagisce immediatamente, annunciando dazi del 100% per quei Paesi che intendono seguire la strategia indicata dal Presidente brasiliano, un provvedimento di dimensioni gigantesche rispetto alle pratiche commerciali contemporanee.

 

 

I dazi sono materia da maneggiare con cura, anche perché non automaticamente si risolvono a favore del paese importatore. Inoltre bisogna considerare che l’economia americana non è oggi quella del 2016, essendo in sostanziale piena occupazione con crescita del Pil intorno al 3%. Quindi è difficile immaginare una condizione americana diversa da quella di più grande «importatore» del mondo. Attenzione però, proprio questa è la carta che Trump intende giocare, facendo leva sul fatto che il prezzo di un bene (ma anche la possibilità concreta di venderlo) è l’incontro tra offerta e domanda: quindi anche chi compra ha un ruolo attivo, anzi decisivo. Peraltro, il presidente eletto sta utilizzando i due mesi della transizione per portare a casa già alcuni risultati politici, primo fra tutti quello di convincere i principali interlocutori in giro per il mondo sul fatto che la già citata «postura» sarà all’insegna della determinazione.

 

 

Ecco allora la minaccia (fatta nei giorni scorsi) di dazi terribili per Messico e Canada, salvo poi ricevere in Florida il presidente canadese Justin Trudeau e fare una lunga telefonata con Claudia Sheinbaum (entrambi progressisti): terminati i colloqui è lo stesso Trump a dirsi soddisfatto, annunciando che il Messico si è impegnato a bloccare i flussi migratori (ma non sarà una passeggiata). Insomma possiamo giungere ad una conclusione. Trump non pensa di introdurre davvero dazi così potenti, ma vuole dire al mondo intero che se costretto è pronto a farlo: usa, cioè l’annuncio di un provvedimento molto drastico per imporre agli interlocutori un punto di incontro a lui (quindi agli Stati Uniti) più favorevole di quello di partenza. Credo che questa strategia verrà adottata anche per le due crisi in Ucraina e Medioriente, quindi tutti debbono prepararsi a fare qualche sacrificio (anche Zelensky). E credo che così Trump si comporterà anche con l’Europa, spesso cercando l’interlocuzione bilaterale (cioè provando a dividerci). Tutto chiacchiere e distintivo? Non ne sarei così certo, il mandato elettorale è clamoroso e la presenza di Musk uno stimolo continuo. Bruxelles e le capitali europee sono chiamate a darsi una mossa.

 

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