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Ue, ecco perché Meloni può far scuola in Europa

Roberto Arditti
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Solo la sovrapposizione con il voto americano rende poco visibile la crisi politica tedesca, dove il centro liberale rompe l’alleanza con la sinistra socialista generando la probabile fine anticipata dell’esperienza di governo del cancelliere Scholz con conseguenti elezioni a marzo, dove si prevede un risultato lusinghiero sia peri popolari della CDU che per la destra di AFD. La deflagrazione della coalizione tedesca però si aggiunge a situazioni complesse anche in tutti gli altri Paesi più importanti d’Europa come la Francia di Macron, la Spagna di Sanchez e la Gran Bretagna di Starmer. Ma se l’avanzata repubblicana negli Stati Uniti rende il successo di Trump (e di Musk) del 2024 qualcosa di molto diverso dal passato, è altresì vero che in Europa c’è un altro fenomeno politico che sta facendo la differenza nel grande calderone mondiale della destra (che spazia dall’Argentina a Israele, dalla Grecia al Giappone): questo fenomeno è la coalizione di Giorgia Meloni.

 

 

Non sono nemmeno sicuro che ne siano consapevoli sino in fondo i dirigenti stessi dei partiti che la compongono, presi spesso dalle mille beghe quotidiane della politica italiana, ragione per la quale vale la pena parlarne qui. Il punto centrale è presto detto: due partiti di destra (Fratelli d'Italia e Lega) ed uno di centro (Forza Italia) stanno insieme sostanzialmente da vent’anni (pur con alti e bassi, ma vale anche nei matrimoni) ed hanno nel tempo costruito certamente un «popolo» politico, assai probabilmente una capacità di stare insieme al centro ed in periferia difficile da sgretolare e, aspetto di enorme rilevanza, stanno persino costruendo mese dopo mese una generazione di nuova classe dirigente (solo Giorgetti e Salvini hanno alle spalle esperienze ministeriali con portafoglio in altri governi nell’intero esecutivo Meloni). Certo, debbono fare i conti con la difficile arte del governare, ma sarebbe miope non vedere un fatto sostanzialmente clamoroso, a due anni dal voto del 2022: i consensi della maggioranza sono intatti ed essa riesce a vincere quasi tutti i passaggi elettorali locali.

 

 

Agisce con politiche di rottura sul fronte dell’immigrazione, sta costruendo una sua identità nelle relazioni internazionali, cerca un equilibrio difficile tra le restrittive regole di bilancio e i tanti bisogni della società italiana, che invecchia e fatica a tenere il passo della modernità. Dunque è tutto perfetto a Roma ed il governo Meloni è il migliore del mondo? Non c’è neanche bisogno di rispondere, ma occorre notare che nel panorama delle democrazie mondiali oggi il destra-centro italiano è tra le esperienze più solide, per molti versi più innovative, in certa misura più originali. E siccome a Bruxelles tutti dicono che le intese tra PPE e Conservatori si fanno di settimana in settimana più intense, ecco che l’equilibrio politico italiano nato nel 2022 rischia di fare scuola. Usi Giorgia Meloni tutto questo, anche con crescente intensità: i suoi interlocutori si stupirebbero del contrario.

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