Kamala Harris, non basta essere donna nera. Chirico: la colpa a Biden è l'ultima gaffe
Se il Partito democratico americano diventa di colpo il Nazareno, un problema c’è. Le faide interne, il correntismo esasperato, il rimpallo di accuse e rancori fa somigliare il partito di Kamala Harris a quello di Elly Schlein. Secondo George Lombardi, che di Donald Trump è amico e vicino di casa nonché, in passato, consigliere per la comunicazione, esiste una inquietante analogia trai progressisti italiani e americani: da tempo, hanno ceduto all’ideologia woke, alle battaglie identitarie, alle istanze ultra minoritarie perdendo di vista le maggioranze. Nel day after del voto che ha incoronato Donald Trump 47imo presidente degli Stati Uniti, Harris tiene un “concession speech” in cui annuncia che continuerà a combattere per la democrazia, senza rendersi conto che la democrazia americana si è espressa e ha scelto Trump. A dispetto degli allarmi democratici, delle intemerate mediatiche, delle inchieste a orologeria.
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Nelle parole di Harris non c’è autocritica, non c’è nessuna ammissione di responsabilità, anzi l’unico messaggio che trapela dal suo staff è che la sconfitta sarebbe da imputarsi a Joe Biden per il suo passo indietro fuori tempo massimo. Siamo davvero alla fiera dell’ipocrisia: Harris deve tutto a Biden, Harris ha partecipato all’associazione a mentire, di marca dem, che in nome dell’omertà ha nascosto agli americani le reali condizioni di salute del commander-in-chief. Non è mistero che né Barack Obama né Nancy Pelosi puntassero su di lei, non è mistero che proprio la riluttanza di Biden a ritirarsi abbia favorito l’ascesa della numero due, indicata come candidata in seguito a una designazione oligarchica. Il popolo delle primarie si era espresso per Biden, i clan che dominano il Partito democratico hanno incoronato Harris. Una donna modesta, dalla personalità evanescente, che in sedici settimane di campagna elettorale non è riuscita a proporre un programma chiaro, ha detto tutto e il contrario di tutto, dispensando sorrisi a destra e manca.
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Pensava forse, Harris, che l’essere donna e nera fosse sufficiente per diventare presidente degli Stati uniti. Tra le donne, a dispetto della mobilitazione referendaria sull’aborto, Harris si aggiudica il 54% dei voti, una maggioranza non schiacciante. A New York city Harris vince ma fa peggio di Biden nel 2020 e di Hillary Clinton nel 2016, Harris fa peggio ovunque. Ora, addossare la colpa a “sleepy Joe” sembra l’ennesimo tentativo di sfuggire alle proprie responsabilità, alla radice l’ambizione smisurata di una donna che pensava di poter incantare gli americani con lo “star power”, da Taylor Swift a Beyoncé. Gli americani hanno dimostrato di saper ancora distinguere tra una buona canzone e un buon candidato.