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Trump, cosa cambia con la vittoria: dalla Nato ai dazi. L'Europa all'esame di maturità

Augusto Minzolini
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All’indomani delle elezioni di Donald Trump a sinistra, in America e in Europa, senti solo parlare di rischio autoritario o di fascismo. Addirittura dalle colonne del Washington Post, arriva un incitamento alla «Resistenza» di scalfariana memoria. Il solito armamentario, lo stesso che è costato la sconfitta ai democratici americani. Il punto è che ormai The Donald c’è, non lo esorcizzi con le campagne contro, ma devi farci i conti vuoi che lo applaudi, vuoi che ne diffidi, vuoi che lo odi. È un dato di fatto per gli Stati Uniti ma anche per l’Europa. Solo che un conto è essere governati da Trump in America, un altro è subirne le politiche su questa sponda dell’Atlantico. Per quanto riguarda noi il nuovo Presidente americano rappresenta solo la cattiva coscienza del Vecchio Continente: dobbiamo temerlo per i nostri ritardi, per le cose che non abbiamo fatto, per i nostri limiti, non perché l’Europa può essere aggredita dalle politiche trumpiane ma perché gli Stati Uniti, nella logica dell’America First, non sono più disposti a farci da balia.

 

 

Il vero rischio per la Ue non è essere aggredita, semmai essere lasciata sola. O peggio non essere riconosciuta tale perché la nuova amministrazione di Washington per i propri legittimi interessi preferisce non considerare la UE un unico soggetto, ma un agglomerato di 27 interlocutori separati. Ecco perché per l’Unione Trump può essere considerato uno «stress test», un esame di maturità. Per cui, paradossalmente, con tutti i problemi connessi, può rivelarsi addirittura un’opportunità. D’ora in avanti l’Europa non avrà più alibi, né tantomeno ciambelle di salvataggio in cui sperare: se vuole avere nel nuovo ordine mondiale il posto che gli spetta - e che merita - deve diventare grande, autonoma, deve emanciparsi dagli Usa sia sul piano della sicurezza e della difesa, sia dal punto di vista economico. Lo spietato «pragmatismo» trumpiano non farà sconti e non sarà generoso nelle concessioni, ma indirettamente metterà l’Europa alla prova: costringendola o a diventare grande, o spingendola verso il declino nella gerarchia globale.

 

 

In fondo dovevamo mettere nel conto che prima o poi il fatidico «momentum» sarebbe arrivato. Ora l’Europa dovrà dimostrare di essere davvero unita, non solo a parole o nella retorica. Ci dovrà essere una vera integrazione economica, bancaria, industriale e fiscale. Bandendo egoismi o interessi di parte. Rendendo permanente lo spirito di solidarietà degli anni del Covid. Come pure dovrà, in tempi difficili in cui le guerre ai confini non sono più un ricordo dopo 70 anni di pace, pensare alla propria difesa: inutile lasciarsi andare alle bizze sulla richiesta della Nato di investire il 2% del pil in spese militari perché in futuro saremo costretti spendere anche di più. Un impegno a cui non può sottrarsi nessun governo di destra, di centro o di sinistra. E non solo per garantire la sicurezza ma perché se il Vecchio Continente vuole avere un minimo d’influenza sulla diplomazia mondiale deve essere anche una potenza militare: non puoi avvolgerti nella bandiera dell’indipendenza dell’Ucraina lasciando agli Stati Uniti il maggior onere per sostenerla militarmente. Un discorso che debbono comprendere, soprattutto, a sinistra. Perché i sovranismi possono anche adagiarsi sulle politiche di Trump, mentre la sinistra nel nuovo scenario rischia di essere anche più sola dall’Europa.

 

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