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Trump, tre sfide da affrontare in quattro anni. Senza un piano B

Roberto Arditti
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Il trionfo di Donald Trump ha dimensioni tali da imporgli quattro anni alla Casa Bianca in grado di entrare nella storia. Non c’è alcuna concessione alla retorica in questa affermazione: mai nessuno ha vinto per poi perdere e per poi rivincere come lui è riuscito a fare, quindi è ben evidente che ci troviamo di fronte a qualcosa di eccezionale. È assai interessante ragionare su cosa potrà e dovrà fare Trump nel nuovo mandato, considerando le enormi aspettative che ci sono dentro e fuori gli Stati Uniti. La mia opinione è che tre sono le sfide principali che dovrà affrontare, tre i risultati che dovrà ottenere per lasciare un segno indelebile tra il 20 gennaio 2025 e la scadenza del mandato, cui va aggiunta la stabilizzazione sull’attuale linea del fronte del conflitto russo-ucraino (Zelensky dovrà farsene una ragione).

 

 

Al primo posto c’è l’elemento essenziale che serve per dare un senso allo slogan «Make America Great Again»: recuperare quella capacità tutta americana di impiegare la forza, calibrando gli interventi politici e diplomatici ma senza illudersi troppo. La storia insegna che rinunciare all’uso della forza quando necessario impone nel tempo successivo di pagare prezzi spaventosi, anche perché sappiamo bene che prevenire le guerre costa molto meno che combatterle. Quindi l’America di Trump è chiamata a svolgere il suo ruolo fino in fondo senza timidezza alcuna ed utilizzando in tutti i teatri internazionali l’intero dispositivo militare e di intelligence per rimettere a posto i numerosi mestatori nel torbido che sono in circolazione.

 

 

In secondo luogo occorre dare continuità agli accordi di Abramo per il Medio Oriente, imponendo cioè a tutti gli attori dell’area di uniformarsi al percorso di pace che Israele ed Arabia Saudita sono disposti a compiere, spazzando via soggetti come Hamas ed Hezbollah, ma trovando soluzioni accettabili per un popolo palestinese capace di darsi nuove leadership. Infine c’è un ribaltamento della logica dell’accoglienza indiscriminata sul fronte della immigrazione clandestina. Gli Stati Uniti possono inaugurare una nuova strategia di contenimento e gestione dei flussi senza concessione alcuna ai trafficanti di esseri umani ed agli Stati canaglia che usano i flussi migratori come armi di guerra ibrida. Questa radicale trasformazione al confine con il Messico può diventare nuovo paradigma internazionale in materia, creando una inedita dottrina applicabile anche in altre aree del pianeta, Europa in primis. Può farcela? Dico di più: deve farcela, non c’è Piano B.

 

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