Dossieraggio, la confessione involontaria di uno spione
Se lo dicono da soli. Ci raccontano di essere colpevoli, di avere fatto qualcosa che sanno essere illegale. «Se ci beccano passiamo i guai», sono le parole di Pasquale Striano, un finanziere che ha fatto tanti di quegli accessi illegali con un tale senso di impunità da non immaginare, non si capisce bene come visto che in fondo era il suo secondo lavoro, di essere spiato, pardon, intercettato. E questa volta in maniera lecita da parte dello Stato che sta indagando su di lui per scoprire come funzionasse davvero il sistema che ha messo nel mirino di una specie di pool decine di politici e personaggi di spicco del panorama italiano. Quelli che finora non si erano accorti di nulla siamo noi.
"Ma se ci beccano sono guai": così Striano attaccava i magistrati
Non tanto noi giornalisti de Il Tempo, che da sette mesi raccontiamo quella che consideriamo la più grave violazione alla vita democratica da qualche decennio. Ma noi italiani in senso lato perché fino a ieri di questa inchiesta aperta da Raffaele Cantone non interessava a nessuno. Finalmente il clima è cambiato. Vuoi le parole della premier Meloni, vuoi il secondo filone che si è aperto a Bari e che allarga anche a esponenti del centrosinistra i dossieraggi, da oggi forse l’Italia pretenderà delle risposte certe. Che in fondo sono quelle più semplici: chi è stato e perché? Se c’era un movente e chi sia l’eventuale mandante. Insomma come ha funzionato il sistema degli spioni e quanto abbia condizionato la vita democratica di questa Repubblica.