Israele forte e fragile: difendiamola
Mentre alcune migliaia di persone in Italia scelgono la ricorrenza del 7 ottobre per protestare contro Israele, mettendo in scena una delle più paradossali e lugubri riunioni di uno spicchio di popolo che manifesta contro la proprie conquiste, contro la propria storia, civiltà, idea di libertà e di convivenza rispettosa degli altri, a Teheran la Guida Suprema Khamenei si presenta (dopo anni di assenza) alla preghiera del venerdì per pronunciare un discorso pieno di odio e violenza, scegliendo un fucile mitragliatore come stampella e dicendo (finalmente) quello che lui pensa dall’inizio: hanno fatto bene i macellai di un anno fa ad uccidere, sgozzare, stuprare donne, bambini e anziani ebrei perché quella è la fine che meritano.
Bell’esempio di Capo di Stato verso cui per anni l’Occidente ha continuato a mantenere atteggiamenti ondivaghi, alternando critiche (mai troppo decise) ad aperture nell’attesa di non si capisce quale reazione utile.
Sapremo solo nelle prossime ore quale sarà la risposta israeliana all’ultima offensiva missilistica iraniana: sono in corso febbrili consultazioni ai massimi livelli militari e dell’intelligence, consultazioni che coinvolgono certamente gli americani (anche ieri presenti in Israele ai massimi livelli), ma anche paesi come Giordania ed Arabia Saudita.
Di sicuro però ogni iniziativa dovrà tenere conto di un fatto nuovo, di grande importanza strategica, verificatosi nell’ultima settimana ed in particolare nell’attacco con circa duecento missili avvenuto nella notte tra martedì e mercoledì.
Il fatto nuovo è questo (ne stanno parlando gli esperti militari di tutto il mondo e vi ha dedicato un approfondimento dettagliato anche il Washington Post): circa ventiquattro dei missili lanciati dall’Iran hanno evitato i sistemi di difesa israeliani e hanno raggiunto il suolo.
Non hanno fatto danni particolarmente gravi (a quanto sappiamo) né sono riusciti a provocare vittime, ma questo non deve trarre in inganno: ordigni di significativa potenza hanno «bucato» il sistema Iron Dome.
Cosa sappiamo degli obiettivi verso cui erano diretti? Sappiamo abbastanza poiché le immagini satellitari ci dicono che le cadute hanno interessato almeno tre siti militari: la base aerea di Nabatim, Quella di Tel Nof ed il quartier generale del Mossad a Giliot. Inoltre alcuni crateri (probabilmente due) indicano esplosioni nell’area metropolitana di Tel Aviv, più precisamente nella zona nota come Cinema City.
Tutto ciò cosa vuol dire, pensando al passato ma guardando il futuro? Vuol dire che il sistema di difesa israeliano è di altissimo livello ma non infallibile e vuol dire che l’Iran sta affinando le sue tecniche di attacco.
Il regime degli Ayatollah è fragile, inviso e ai cittadini, avvelenato da tensioni interne micidiali, ma non per questo privo di una sua notevole capacità di offesa, anche perché poggia su entrate petrolifere significative.
Israele è una piccola nazione, nella quale tutto ciò che conta (centrali di produzione dell’energia, basi militari, siti industriali, aeroporti, agglomerati urbani) si trova in un fazzoletto di terra, sostanzialmente al centro del paese e non lontano da Tel Aviv o Gerusalemme (che distano 60 chilometri l’una dall’altra).
Questo dovrebbero capire i governanti occidentali: Israele è forte, molto forte, ma anche fragile, perché le dimensioni non giocano a suo favore. Lo sanno benissimo amici dell’area come sauditi e libanesi (non certo quelli di Hezbollah ma gli altri, a cominciare dai cristiani). Ma lo sanno anche i nemici e cercheranno di approfittarne in ogni modo.
Mentre qui da noi, nella nostra Roma capitale, poche migliaia di persone manifestano in favore dei propri potenziali aguzzini, in Medio Oriente si sta giocando una partita assai complessa, i cui aspetti militari finiranno, come sempre nella storia, per condizionare fortemente l’esito finale.