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Medio Oriente, è l'uso della forza a regolare la partita. Adesso manca solo Sinwar

Roberto Arditti
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Non vi lasciate influenzare dalle dichiarazioni pubbliche: la realtà in Medio Oriente non è mai come appare. Israele colpisce ed elimina il penultimo obiettivo di primo livello della lista nata dopo l’eccidio del 7 ottobre 2023, cioè il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, con un imponente attacco d’aviazione dietro il quale però c’è un lavoro di intelligence che vede come protagoniste certamente le agenzie israeliane, ma come alleati preziosi almeno tre gruppi di lavoro: gli americani, i servizi dell’Arabia Saudita e dei paesi ad essa vicini del Golfo, vari gruppi influenti in Libano (sia a livello militare che economico) desiderosi di mettere all’angolo l’Iran e il suo strapotere nel Paese dei Cedri. Per capire davvero cosa sta accadendo occorre guardare “dentro” l’elenco che ora vi propongo, eccolo qui di seguito. Il 2 aprile un raid uccide a Damasco il generale dei Pasdaran iraniani Mohamad Reza Zahedi, la figura più importante dopo l’uscita di scena (per mano americana) del generale Suleimani. Il 19 maggio si schianta con il suo elicottero il Presidente dell’Iran Ebrahim Raisi, con lui perde la vita il ministro degli esteri Hossein Amir-Abdollahian. Il 13 luglio a Gaza viene ucciso Mohammed Deif, capo militare di Hamas e “storico” organizzatore di una serie infinita di attentati. Il 31 luglio è la volta di Isma’il Hanyeh, il capo politico di Hamas ucciso a Teheran. Così arriviamo ad oggi con la morte di Nasrallah, mai più apparso in pubblico dal 2006 ma presente con video registrati in ogni momento di rilievo di questi anni nonché leader indiscusso di Hezbollah.

 

 

Cosa ci dice questo elenco, cui mancano per brevità moltissime figure di spicco in Libano, Cisgiordania e Gaza di secondo e terzo livello? Ci dice tre cose che dobbiamo tenere a mente, qui nel nostro “pacifico” Occidente. Primo: nel mondo le partite si regolano con l’uso della forza e la nostra fiducia nella politica e nella diplomazia è velleitaria, quand’anche nobile. Secondo: in Israele nessuno, nemmeno i più acerrimi avversari di Netanyahu, ritiene possibile lavorare ad un futuro di convivenza nella zona lasciando spazio ad Hamas ed Hezbollah, soggetti che peraltro nessun Paese della zona apprezza davvero (nemmeno il siriano Assad, figuriamoci gli altri). Terzo: la partita non passa alla fase successiva senza l’uscita di scena di Yahya Sinwar, partita maledettamente complessa perché intrecciata a quella degli ostaggi (che infatti Hamas, o meglio quel che ne resta, non ha alcuna intenzione di liberare). Israele deve riportare i suoi cittadini nelle case a nord, liberandoli dalla minaccia dei missili che partono dal Libano. Deve farlo anche perché quella è la zona agricola più importante della nazione. Per fare questo probabilmente servirà anche un intervento militare via terra.

 

 

Ma non è questo il punto centrale della vicenda nel suo complesso. Il cuore della questione è iniziare a lavorare, eliminato Sinwar e risolta (ma sarà un massacro) la vicenda degli ostaggi, per il dopo. Qui devono farsi trovare pronti l’Occidente, la Nato, l’Europa. Anche l’Italia può giocare un ruolo di primo piano. Ma dobbiamo smetterla di ragionare come bambini capricciosi, dobbiamo iniziare, dolorosamente, a comportarci da adulti.

 

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