l’editoriale di Cerno

Cerno: Sarco e noi gli ipocriti del suicidio

Tommaso Cerno

Siamo un popolo di gente ipocrita. In un mondo dove si muore ogni secondo, dove due guerre sanguinarie ammazzano innocenti, dove un giorno si e uno anche un padre uscito di senno spara a moglie e figli o un figlio ammazza i genitori, e ci abbiamo fatto perfino il callo benché fingiamo di indignarci tutte le volte, ci fermiamo attoniti davanti a Sarco: una capsula sigillata in cui chi decide di togliersi la vita si chiude e preme un pulsante che libera l’azoto. Una macchina del suicidio high tech, la versione da salotto della camera a gas dei penitenziari americani. Ieri una donna americana di 64 anni ci si è infilata dentro scatenando uno choc globale, che ha portato all’arresto di diverse persone perfino in quella Svizzera dove il fine vita è qualcosa di normale.

Perché è successo? Non certo perché, almeno io non lo penso, il suicidio sia qualcosa che sconfessa la sacralità della vita. Al di là della fede o delle idee di ognuno. E nemmeno per la morte in sé, visto che in Italia si tolgono la vita circa dieci persone al giorno, buttandosi sotto i treni, dai terrazzini, impiccandosi o sparandosi. Molto più tragico e pubblico di Sarco. Il problema è che non parliamo di morte. Mai. Non parliamo di chi si sente fuori dalla società. Di chi soffre da solo. Perché a noi non dà fastidio la morte. Ma il fatto che non possiamo fingere di non averla vista. E voltarci dall’altra parte. Come viene spontaneo fare.