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Dossier, la prova regina che inchioda l'ex pm De Raho

Tommaso Cerno

Come una nemesi, l'ex procuratore antimafia Cafiero de Raho cerca di condizionare la commissione che indaga sui dossier. Lui che ne fu capo e oggi dovrebbe rispondere alle domande su quanto accadeva nei suoi uffici si erge a giudice e vuole farle. È questa la prova regina che lo inchioda: è lo stesso metodo usato da Striano & Co: usare le informazioni in proprio possesso per condizionare la verità. E per produrre un racconto artefatto. In qualche modo è una ammissione di colpa. E se non di colpa, di conoscenza del sistema degli spioni che oggi è al centro dell’inchiesta di Perugia e della commissione parlamentare. Quel che colpisce è che de Raho, passato dalla cattedra del tribunale alla poltrona di Montecitorio, chieda di usare la politica per farsi giustizia.

 

 

 

Quando il suo partito, il Movimento 5 stelle, ci fa una testa così per spiegarci che la magistratura deve essere libera di indagare. E che la politica non può avere conflitti di interesse. Diteglielo a lui che fa il giudice e il giudicato. E ditelo a Giuseppe Conte, che tira monetine in Liguria, ma poi è il garante politico del muro di gomma che Pd e 5s vogliono alzare a difesa del bancomat delle spie, scoperchiato da Raffaele Cantone. Per insabbiare l’inchiesta che sta mostrando come in Italia un pezzo di Stato ha lavorato rubando informazioni riservate per influenzare, insieme a magistratura e giornali, la politica italiana. Con un bersaglio su tutti: il governo di centrodestra votato dagli italiani.