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Ursula von Melonen e la pazza idea dei due forni

Tommaso Cerno
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Non so cosa pensi l’armocromista del patto Ursula von Melonen, ma Elly Schlein si leverà presto il rosso dalle guance e voterà Raffaele Fitto. È una figura forte dell’Ursula bis. Più forte di Paolo Gentiloni per due semplici ragioni. La vicepresidenza all’Italia arriva dopo un «no» dei meloniani al bis di Ursula. E questo la rende più forte. Perché non era scontata. E non era scontata perché quel no ha valore politico: l’Italia finalmente può fare una cosa che a Gentiloni non era permessa: dire no.

La seconda ragione è che se si guarda l’Europa da dove viene, il no di Meloni può sembrare un errore. Ma se ci si gira e si osserva dove stiamo andando, come Mario Draghi sta ripetendo ormai da giorni, la percezione cambia all’istante. Perché questa Europa che non è né carne né pesce va verso un cambiamento profondo dell’Unione, delle sue regole e delle sue politiche economiche. Lo fa perché è l’unica strada possibile. E per farlo ha bisogno dei due forni, maggioranze diverse. E tali maggioranze potranno nascere solo se Popolari e Conservatori dialogheranno. Chi lo sa bene è von der Leyen. Sa bene che, se anche la maggioranza di partenza è quella di prima, la traiettoria che il Ppe dovrà imboccare è diversa. E sa pure che in Parlamento, prima o poi, servirà cambiare schema di gioco. E nel gioco nuovo, l’Italia di oggi (e forse pure la Francia e la Germania di domani) devono stare al tavolo. Insieme.

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