l’analisi di gallicola
Draghi-Meloni, la strana coppia e quel feeling necessario
«Dobbiamo essere contenti che ci sia un italiano chiamato dall’Europa a fare valutazioni sulla competitività». Davanti alla platea degli industriali di Cernobbio, che Mario Draghi l’hanno sempre idolatrato, Giorgia Meloni aveva già regalato un assaggio del suo pensiero a proposito della relazione che l’ex premier avrebbe presentato a von der Leyen e soci. E ieri, ascoltando l’analisi di Supermario a Bruxelles, si è avuta la conferma della sintonia che, al di là delle posizioni politiche differenti (anche a Cernobbio Meloni aveva rimarcato) resiste tra i due nonostante l’incedere del tempo e le lusinghe che da sinistra continuano ad arrivare all’ex banchiere centrale. E così torna d’attualità "la strana coppia" Giorgia-Mario, inaugurata il 23 ottobre di due anni fa con il passaggio della campanella a Palazzo Chigi e corroborata da una serie di scelte meloniane, dalla strenua difesa dell’Ucraina alla cura dei conti pubblici tanto cara all’ex numero uno della Bce e affidata in continuità al rassicurante Giorgetti. Ma anche da alcune nomine chiave, una su tutte quella di Roberto Cingolani, già ministro della Transizione ecologica con Draghi, a capo di Leonardo. Per tacere della conferma di Descalzi, deus ex machina di Eni sia con Mario che poi con Giorgia.
Se non proprio un feeling personale, una indubbia corrispondenza di interessi. O forse la possibilità per Giorgia di mettere in campo azioni vietate al Mario azzoppato dai Cinquestelle e dall’ala sinistra del Pd lettiano. Un asse utile in chiave europea, se è vero – come sostenuto da Draghi ieri – che l’Ue sta affrontando sfide significative per la sua competitività e crescita della produttività. Sebbene abbia solide fondamenta, ha sostenuto il consulente di von der Leyen, la sua crescita economica sta rallentando rispetto a concorrenti come gli Stati Uniti e la Cina. Difficile che a Palazzo Chigi non condividano una simile analisi, impegnati come sono a combattere con i decimali di una crescita che stenta a decollare. E raccontano che sia partita la «ola» al solo sentir parlare Draghi di «obiettivi di decarbonizzazione dell'Ue più aggressivi rispetto ai concorrenti, che creano costi a breve termine per l'industria». Musica per le orecchie di Salvini, ma non solo.
Il tuo browser non supporta il tag iframe
Il nodo più stretto, però, resta sempre il debito. L’ultima certificazione è della Banca d’Italia: a giugno, con un aumento di 30,3 miliardi rispetto a maggio, il livello del “rosso” ha sfiorato i 3000. E gli interessi stanno per sfondare quota 100 miliardi. Troppi, lo ha detto anche Mattarella a Cernobbio. Sarebbe indispensabile tornare a parlare di debito comune, ma Francia e Germania, principali detentori del nostro «rosso», non ci sentono. E qui, dicono quelli che devono far quadrare i conti, si giocherà la vera partita dell’Europa. Dove Giorgia e Mario potrebbero risultare davvero decisivi.