scenari
Il dilemma di Feltri: "Sicuri che la Germania è peggio dell'Italia?"
Vorrei spendere una parola in difesa della vituperata Germania dipinta da tutti ormai come luogo in cui l’economia si frantuma e il terrorismo cresce in maniera esponenziale. L’impressione è che ci sia un certo godimento a distruggere un paese che ci ha sempre guardato con supponenza. Ma che riserva grandi sorprese e ha un livello di vivibilità sorprendente. Ho visitato Berlino qualche tempo fa, viaggio fugace e non certo programmato. Partivo da una Milano torrida e sfiancante e mi aspettavo il caos di una città ruvida e di un popolo chiassone. All’arrivo mi accoglie un tempo mite e gradevole: nuvole, pioggerella fine, e una temperatura che incoraggiava una modesta bardatura. Da subito capisco che qui il clima è una faccenda seria e non perdono tempo con le balle sul surriscaldamento climatico.
L’aeroporto è tirato a lucido, l’accoglienza bagagli scorre come un violino. Come ogni viaggiatore allergico ai bagni delle compagnie aeree pieni di schizzi poco edificanti mi reco subito nella toilette del terminal e la pulizia è disarmante. Un water immacolato, un gabinetto profumato di incenso, potresti prendere una tovaglia e accamparti per il pranzo. E’ l’inizio della rivoluzione. La lingua è il primo scoglio. Mastico il latino ma non il teutonico e l’inglese mi appassiona quanto un fico secco. Dunque abbozzo una conversazione primordiale con l’addetta all’ufficio informazioni. Una bionda con collo taurino e sguardo spietato (mi ricorda un generale della Gestapo) che mi lascia gesticolare per due minuti buoni e alla fine mi stronca: «lì il metrò, là i taxi», benedetta la Merkel che amava tanto l’Italia. Breve incursione nella metropolitana berlinese dove i ragazzi fino ai 15 anni non pagano nulla e si viaggia tutta la notte nei weekend. Feltri in metropolitana è un concetto incredibile, lo so, ma mi trattengo il tempo sufficiente per capire che non esistono tornelli e controlli in quanto la gente è ligia al dovere e paga il biglietto. Personaggi di ogni età, cultura ed estrazione sociale mi scorrono ai lati. Mentre i corridoi che conducono ai mezzanini sono un’infilata di bar intrisi di birra e wurstel al curry che chiamano wurst. Giovanotti di sesso non definito, con le unghie smaltate di nero, si alternano a uomini di affari vestiti in t-shirt e scarpe da tennis. L’eleganza è un concetto astratto, mi avevano avvertito, ma quando vedo orde di donne con i sandali e i calzini bianchi antistupro ho un conato di vomito. Alloggio nella Berlino est a pochi passi dal Mitte (il centro) e dal fiume Spree che qualche italiano dinoccolato chiama Spritz. Conto da capogiro ma camera essenziale e bagno spartano. C’è poca gente a spasso, ancor meno nelle strade che corrono attorno, l’austerità sovietica di certi scorci è desolante e impagabile, ma la sostanza è che la domenica qui è una faccenda seria e si rispetta. La storia mi corre accanto, impressa nelle strade e nelle facce. È qualcosa che si respira e travolge, un monito, una presenza silenziosa che a tratti si fa opprimente e porta il peso della coscienza. È anche business turistico, sia chiaro, ma ben mascherato da ammissione di colpevolezza. Il muro di Berlino. Le stragi naziste. Il Terzo Reich. Mostre e musei a tema si susseguono lungo un percorso che non dà tregua.
Foto di stermini e speranze stroncate che aleggiano in tutte le installazioni. Non riesco a perdonare un popolo che ha commesso simili nefandezze e vacillo davanti al monumento dedicato alle vittime ebree. È grande come un campo da calcio, quasi 3mila steli simili a sarcofagi messe a formare un labirinto, i bambini ci giocano, i grandi piangono. Il muro di Berlino neanche a dirlo sembra il classico convitato di pietra. Il monumento più visitato della storia, sebbene ne resti un pallido ricordo smussato in 1300 metri di tragitto coperto da magnifici graffiti (la Est Side Gallery). È basso e stretto ma ha diviso un popolo a metà e generato tragedie infinite. Sui suoi resti è fiorito un business di signori compiti e nordiche comari che rifilano pezzi di muro colorato a prezzi variabili dai 7 ai 39 euro a seconda delle dimensioni. Sai di comprare una sòla ma ti senti parte della storia e cedi con garbo. Folle di turisti inconsapevoli intanto si fanno fotografare al Checkpoint Charlie dove stranieri e diplomatici avevano il permesso di transitare tra le due Berlino. Se non ci fossero i turisti sarebbe divertente fermarsi. Molto più accattivante il museo della DDR che consente di assaporare la vita nella Germania dell’est, sotto la sorveglianza della Stasi e costretti al cronico razionamento di cibo. I bimbi erano sottoposti a un allenamento collettivo all’uso del vasino, le case avevano tappezzerie kitsch come a Milano negli anni ’70 e il massimo della frivolezza era passare l’estate in colonie estive o su spiagge di nudisti, aberranti ai giorni nostri figurarsi all’epoca della cortina di ferro. Non si vive solo di storia però. E devo dire che l’alimentazione ha avuto un certo impatto sull’umore di un turista recalcitrante come me. Primo caffè consumato nel bar del centro davanti a un cassiere obeso: 4 euro per una brodaglia bollente. Prima bottiglietta di acqua da mezzo litro: 3,50 euro. La birra costa meno. Devono essere impazziti, ma poi capisco. Qui non carburano ad acqua ma a birra... che detto a un uomo di mondo come me va benissimo, ma a forza di bere boccali che sembrano tinozze ti chiedi come possa la città andare avanti senza crollare come der mauer. Una vecchietta è crollata davanti a me sorseggiando un litro di birra all’ora della colazione, ho temuto che fosse morta poi ho visto il sorriso. Una peculiarità di questi germanici è che non conoscono imbarazzi. Al momento di portarti il conto al ristorante, ti presentano le opzioni di mancia 0,5%, 1% o il 10%? - e ti sorridono pure mentre ti fottono. Restai folgorato da una cameriera teutonica avvizzita e grassa che al mio diniego del dolce mi fece segno di tirare fuori gli sghei. Insomma, come è possibile che un popolo tanto attento all’incasso cada in recessione? Forse è colpa del cibo. Si mangia un buon piatto con carne e patate lesse speziate a 20 euro. Ma se non gradite wurstel e stinchi rischiate la consunzione. Ed ecco i veri poveri. Magrissimi e obliqui camminano in mezzo alla folla senza farsi percepire. Molte le signore di mezza età con le scapole puntute, gli occhi velati e i capelli unticci legati in lunghe code, mentre gli uomini, ex tossici o ubriaconi, se ne stanno incazzati e urlano improperi: ne ho beccato uno che girava completamente nudo in Alexanderplatz, ovviamente l’esibizione è durata meno di un battito di ali perché è arrivata la polizei e l’ha condotto via. Ma c’è una cosa bona.
Raccolgono le bottiglie vuote dai tavolini all’aperto e dai cestini della spazzatura, le infilano in grandi sacchi e probabilmente le portano in ricicleria, si riciclano anche loro mi pare di capire, anche se trovo ripugnante il frugare nelle miserie altrui. Lo dico subito per i soliti politicanti. L’immigrazione c’è ma non ha il reflusso di bivacchi e bande di sbandati che portano via tutto ai turisti. Ho trovato un solo cartello con la scritta «attenti ai borseggiatori» mentre in metro a Milano mi risulta che ti sfiniscano i timpani con il refrain. Infine misi consenta un accenno alle strade. E qui mi rivolgo alle strampalate amministrazioni rosso-verdi che costellano il nostro Paese convinte che tutto sia possibile in nome delle loro fregole ambientaliste. Anche a Berlino amano la bicicletta ma le piste scorrono in strade ampie e ariose. E le regole sono una cosa seria. Si rispettano. Ho visto una signorina straniera sprofondare di vergogna alla fermata del bus. Lei pretendeva di scendere dalla porta di ingresso dell’autobus perché così fan tutti in Italia. E un energumeno biondo le si è messo di fronte impendendole il passo perché non era quella la via giusta. Lì ho capito la manfrina. Non ci sono compromessi. E non si scherza. Forse il segreto è tutto lì. Chi rompe paga, chi vìola le regole è fuori. A proposito. I tedeschi fanno figli in serie. Nugoli di bimbi bellissimi e biondi che si portano appresso ovunque. In Italia mi risulta che la natalità sia zero virgola. Chi è messo meglio dunque, noi o loro?