La carambola di Tajusconi e l'idea di una nuova Fiuggi
Come una carambola sui boccini centristi crollati alle Europee, Antonio Tajani mira al centro rimasto sgombro dopo il flop di Matteo Renzi e Carlo Calenda. Gioca solo il leader di Forza Italia successore di Silvio Berlusconi, un Tajusconi incastrato fra Famiglia e realtà, due verità all’apparenza opposte che connotavano la visione politica del Fondatore. Certo il Cavaliere era un arcinemico della sinistra, questo lo sanno anche i sassi, ma la ragione di quel posizionamento netto non era ideologica, parola estranea al vocabolario berlusconiano, bensì pragmatica. Sapeva bene il Cav che per attrarre quel centro governista e antistatalista che di volta in volta sceglie da che parte stare serviva diventare invisibili, alleggerire il proprio bagaglio di parole d’ordine e slogan e mettere meno paletti possibile. Con la logica conseguenza che per individuare il campo di gioco diventava necessario spiegare bene dove terminassero le linee nemiche. Ed è questo che il segretario di Forza Italia sta mettendo in atto.
Un allargamento del campo di ascolto del suo partito dritto dentro le fila nemiche, convinto che fra le rovine del Terzo polo e la nuova vita di Forza Italia possa aprirsi un ponte elettorale. Nessuna svolta a sinistra, dunque, come qualcuno ha superficialmente sentenziato ma al contrario un ritorno alle origini forziste, all’era in cui Silvio I andò a prendersi i voti degli italiani la dove nessun politico professionista della straosannata e poi dileggiata Prima repubblica riteneva possibile. Perché il centro resuscita è vada avanti, dunque, c'è bisogno di un centravanti che entri nell'area di rigore del.mondo liberale italiano. Fatto di centinaia di migliaia di individui che non vogliono una politica vigile sulle loro esistenze dalla nascita alla morte, dal risveglio al sonno.
Figuriamoci se gente che non vuole il Fisco sul collo tutto il santo giorno può immaginare di volere lo Stato in camera da letto. O al capezzale di nonna quando, dopo una vita straordinaria, chiede solo di andare via. Lo sa bene anche Luca Zaia che ripete da tempo che, nel Nord in crisi ma pur sempre meno che altrove, dove tutti si lamentano ma qualche scheo in tasca ce l’hanno ancora, nessuno vuole la predica su mogli e amanti, sui figli gay o sul colore della pelle di un campione di pallavolo. Pretende un altro modello di uguaglianza. Che chi viene qui lavori e paghi tasse, che i delinquenti bianchi o neri stiano dentro e gli innocenti invece restino fuori fino a peova contraria. Chiedono che le elezioni si facciano quando lo dice la legge e non quando lo decide un pm. Chiedono che se paghi le tasse poi tu abbia i servizi che lo Stato ti deve, senza scuse.
Chiedono che, così come il cittadino colpevole paga e tace lo stato creditore paghi e taccia prima e di più. E non faccia lo gnorri a spese del solito contribuente. E chiede pure che i compagni di classe della figlia che parlano veneto come i bocia degli alpini siano italiani, che tanto lo sono, mentre chi arriva pagando un criminale e magari viene qui per delinquere se ne torni da dove è venuto. Senza frignare e senza agitare Costituzioni e carte internazionali che, per quanto avanzate, non posso certo andare contro il buonsenso.
La sinistra fa fatica a prendersi questi voti. Perché, soprattutto dopo il disastro di Enrico Letta, che a parole faceva il democristiano ma nei fatti ha devastato i centristi Pd perché vedeva renziani dappertutto, sputa sentenze e fa la morale a tutti dalla mattina alla sera. L’unica domanda a questo punto: se oggi ci fosse una nuova Fiuggi, non sarebbe logico che parlasse proprio a questi desaparecidos?
Perché in fondo Giorgia Meloni fece proprio questo nel 2022. E dopo due anni ha i numeri e la salute politica per tornare a farlo.