il commento

Giustizia, pensiamo anche a chi è vittima dei reati non solo ai diritti dei reclusi

Roberto Arditti

Mai una volta che quando si parla delle carceri si pensa a tutti gli altri, quelli che sono fuori. Si proprio loro, quelli che le malefatte dei carcerati le hanno subite. Facciamo un esempio, così ci capiamo meglio. Un esempio che ha nome e cognome: Ana Zahirovic, 31 anni, etnia Rom. Residenza abituale nell’accampamento di Castel Romano, nota alle forze dell’ordine come «Lady Scippo». È titolare del deprecabile record di 148 denunce per furto (e certamente sono assai meno numerose dei colpi portati a segno) ed ha sino qui accumulato condanne per 30 anni, regolarmente dribblate sfornando figli a ripetizione (siamo a quota dieci). Ultimo arresto a giugno 2024, ma verosimilmente destinata a breve a tornare alla sua occupazione preferita: rubare nella metropolitana di Roma. Ebbene di storie come queste ce ne sono dozzine, in un Paese che si strappa i capelli per le carceri sovraffollate (giusto), per le condizioni di vita nei penitenziari (sacrosanto), per il fine rieducativo della pena (ineccepibile). Però io mi chiedo, anche considerando l’ultimo decreto governativo, agli altri qualcuno ci pensa?

 

 

Siamo in grado di mettere in campo misure che impediscono alla signora Ana Zahirovic di nuocere gravemente alla nostra salute per tutti gli anni delle condanne accumulate, chiarito che tanto è escluso ogni suo ripensamento (148 denunce, lo scrivo un’altra volta) rispetto alla decisione di fare la ladra a vita? Allora io dico (guardando le decisioni del governo) che va bene aumentare il personale della Polizia Penitenziaria, così come va bene trovare un modo per far scontare fuori dal carcere una parte della condanna per i detenuti meno pericolosi. Però dico anche al Ministro Nordio (che ha fatto per decenni il magistrato) che pensare quasi esclusivamente a quelli in carcere è una follia, oltre ad essere in palese contrasto con i sentimenti dell’Italia moderata e di destra che ha votato per questa maggioranza. Ma insomma lo vogliamo capire se un commerciante rapinato vede il rapinatore uscire presto di galera entra in uno stato di paura che gli rovina la vita? Ci vogliamo rendere conto che una donna sotto assedio per stalking quando il colpevole torna presto in circolazione entra uno stato d’ansia spesso drammatico? Sappiamo cogliere il senso di frustrazione di una persona minacciata o truffata di fronte alle mille pieghe del codice che permettono a criminali di vario genere di entrare ed uscire di galera con disinvoltura assoluta?

 

 

Io ho la netta sensazione che gran parte del dibattito politico finisca per svolgersi intorno al tema carcere perché nessuno o quasi di quelli che fanno le leggi vive i problemi della quotidianità degli altri, quelli che prendono la metropolitana, i treni locali, vivono in periferia. Ed allora si finisce per dedicare attenzione alla nobilissima questione carceraria, mentre, ad esempio, degli anziani rapinati non frega niente a nessuno, tanto è vero che un sacco di gente evita di perdere tempo con le denunce (sfido chiunque a darmi un nome di una persona che ha denunciato il furto di bicicletta negli ultimi dieci anni). Allora dico: bene, mettiamo a posto le carceri. Ma da un governo guidato da Giorgia Meloni e con un Ministro dell’Interno come Matteo Piantedosi ci si può attendere, ci si deve attendere, una scelta di campo assoluta e dai risultati visibili: stare dalla parte del rapinato e non del rapinatore, mettendo quest’ultimo in condizioni di non nuocere per tutto il tempo deciso dalla sentenza che riguarda, rendendo anche il nostro sistema giudiziario capace di severità assoluta versoi recidivi. Perché sbagliare è umano, per carità. Ma perseverare è diabolico, come insegna la storia di Ana Zahirovic.