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Pd, le mani sulle date simbolo degli italiani: oltre il limite della decenza

Riccardo Mazzoni
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A 44 anni dalla strage di Bologna, una delle pagine più infami della storia repubblicana, la sinistra - col Pd in prima linea - ha deciso deliberatamente di oltrepassare ogni limite di decenza (e responsabilità) politica, accusando di fatto l’attuale governo di avere le stesse radici neofasciste degli esecutori materiali e morali dell’attentato terroristico. Un’accusa gravissima e inaudita, lanciata dal presidente dell’Associazione familiari delle vittime Paolo Bolognesi - ex parlamentare del Pd - che nella furia ideologica contro il centrodestra ha pensato bene di tirare in ballo anche Licio Gelli e la P2, che sarebbero gli ispiratori della riforma della giustizia del ministro Nordio. La premier ha reagito con fermezza a questi assurdi teoremi, e solo per essersi difesa da questo attacco scomposto – cosa avrebbe mai dovuto fare di diverso?... - è stata «imputata» addirittura di «oltraggio a Bologna», col solito ribaltamento della realtà: l’unico oltraggio consumato in questa vicenda, infatti, è stato solo quello contro il governo della Repubblica democraticamente eletto e accostato, attraverso una perversa manipolazione storica e politica, allo stragismo che segnò gli anni bui della Repubblica. Una manipolazione che ricorda sinistramente quella stessa operata alla dallo scrittore Scurati, che ha usato il centesimo anniversario del delitto Matteotti per assimilare la premier al fascismo, accusandola di non averne mai preso veramente le distanze, ignorando scientemente le ripetute prese di posizione secondo cui «da decenni i partiti che rappresentano la destra in Parlamento hanno dichiarato la loro incompatibilità con qualsiasi nostalgia del fascismo».

 

 

Non c’è nulla da fare: ci sono date fatidiche – dal 25 aprile al 2 agosto - in cui a sinistra scatta sempre il riflesso pavloviano della strumentalizzazione più becera: lo ha dimostrato plasticamente l’intervista di ieri con cui Elly Schlein ha pienamente condiviso il teorema di Bolognesi scagliandosi contro la premier per aver voluto fare la vittima, «in modo deplorevole», nel giorno della commemorazione della strage di Bologna: Meloni, insomma, avrebbe dovuto incassare l’accusa di stragismo senza batter ciglio, e questo la dice lunga sull’irresponsabilità della dirigenza piddina, pronta a spargere odio contro il governo senza rendersi conto della pericolosità di una postura politica che rischia di alimentare una spirale di violenza difficilmente arginabile.

 

 

È dai primi anni Novanta che ogni 2 agosto a Bologna va in scena lo stesso vergognoso copione orchestrato dalla sinistra, che approfitta dell’anniversario della strage per trasformare la commemorazione in un’occasione di scontro politico e insultare chiunque sia mandato a rappresentare l’esecutivo quando governa il centrodestra, con il Pd sistematicamente in piazza a contestare ministri ed esponenti politici, tanto che per due anni l’ultimo governo Berlusconi fu costretto a farsi rappresentare dal prefetto di Bologna, essendo per questo accusato di mancanza di rispetto verso la città. Un clima infame e del tutto ingiustificato nei confronti di una classe politica che mosse i suoi primi passi in un’epoca lontana da quei tragici eventi. Ora nel mirino c’è Meloni per il suo passato giovanile nel Msi, ma la stessa sorte toccò al ministro Bondi, nonostante la sua passata militanza politica nel Pci. Sulla strage alla stazione c’è una verità processuale acclarata e definitiva, che va ovviamente rispettata, sulla sua matrice neofascista, ma dopo più di quattro decenni di tutto ci sarebbe bisogno meno che delle sciagurate divisioni messe puntualmente in scena dalla sinistra con l’ossessivo richiamo al ritorno del fascismo e la strumentalizzazione a fini politici della strage, fino all’ultimo delirio contro la premier.

 

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