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Il Pd di Giorgia e l'Europa del Do ut Mes

Tommaso Cerno
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Come fosse un totem privato della sua storia, Enrico Berlinguer finisce scolpito sulla tessera di un Pd che ha perso la memoria sulla sua lezione. E che sta costruendo una sinistra di risulta, la cui natura è determinata da una donna, leader politico. Con il problema che questa donna non è la segretaria Elly Schlein bensì la premier Giorgia Meloni. Perché è stata lei a creare il campo avverso in assenza di un’idea di progresso moderna, è stata sempre lei a favorire il terreno culturale e politico che ha portato il popolo progressista a far prevalere Schlein ai gazebo delle primarie Pd contro quello Stefano Bonaccini indicato a gran voce da dirigenti, colonnelli e caporali vari. Ed è sempre lei il centro di ogni iniziativa politica provenga dall'opposizione. Si annusa al Nazareno, insomma, un gran bisogno di Giorgia per sopravvivere. Un bene necessario, il premier, quasi più a sinistra che a destra. Al punto che ogni scusa è buona per mettere Meloni al centro del dibattito, perfino immaginare che la famosa borgatara di Garbatella sia il mandante morale e postumo della strage di Bologna.

 

Una fesseria colossale che non fa torto alla destra, bensì alla grande intellighenzia della sinistra italiana che negli anni di Berlinguer, quello vero, quello che dialogava con Giorgio Almirante nell’Italia di piombo, ha scritto pagine memorabili su Bologna, sulla sciagura del terrorismo nero, sui Nar, su Mambro e Fioravanti. Pagine che aiutarono l'Italia a sanare le ferite restando di idee opposte e non, come capita di questi tempi, a riaprire le piaghe della storia per poi rendersi conto che, per attaccare il governo, serve riesumare Benito Mussolini a ogni tre per due. Anziché stampare Berlinguer su un cartoncino per tenerlo ben chiuso in tasca, meglio sarebbe stato rileggere ciò che disse e comprendere meglio il senso di ciò che fece. E quanto agli antipodi di questo modello antagonista fosse il pensiero di chi intuì per primo che a sinistra non bastava più predicare bene. Ma serviva razzolare meglio degli altri. Una questioncina morale che sembra invece ridursi a un lancio di monetine di fronte ai palazzi di un potere che, come dimostra la scelta di Ermini ai vertici della holding di Spinelli in Liguria, non ha soluzione di continuità se non negli slogan di questo o quel politico di turno.

 

Ma d’altra parte basta rileggere le parole pronunciate poche ore fa da Romano Prodi sul voto a Ursula von der Leyen per capire che quella visione a sinistra è morta con Berlinguer quell’11 giugno 1984. Ci spiega che Meloni ha sbagliato a non votare l'Ursula bis (per il sottoscritto la peggiore Europa di sempre) ma non perché in fondo Ursula serva a qualcosa, non per ciò che ha detto o fatto, non per il programma della sua Commissione, né per il green né per la foga da riarmo. No, la doveva votare comunque e a prescindere. Perché, ci spiega il Professore, se non si fa così, se non si accondiscende, l’Europa ci bastona. Un rapporto mafioso con l’istituzione democratica, che apre la via alla sottomissione etica dei governo, anticamera del post parlamentarismo che ormai sta prendendo piede in mezzo mondo.
Ammette insomma, ignaro di farlo, l’ex premier dell'Ulivo che siamo stati governati da soloni, gente che in Europa portava il vassoio, nella logica del do ut des. Che poi è diventato do ut Mes. Come sappiamo bene. Ringraziando il cielo che c’è ancora chi dice no.

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