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Usa, sulla sfida Harris-Trump è iniziata l'inutile guerra dei sondaggi

Lucio Martino
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Quando si tratta di Kamala Harris, l’eccitazione che i Media nutrono riguardo ai sondaggi è difficile da comprendere, posto che dipingono un quadro tutt’altro che ottimistico se esaminati nel loro insieme, particolarmente poi in un momento nel quale, dopo il Congresso nazionale repubblicano, l’ex presidente Donald Trump ha registrato un 46% di gradimento, il valore più alto da lui mai raggiunto. Dando uno sguardo alla media nazionale dei sondaggi, Trump gode di un vantaggio pari all’1% sulla Harris. Più precisamente, considerando tutti e dieci i sondaggi effettuati dopo il ritiro della candidatura del presidente Joe Biden, sette di questi danno a Trump un vantaggio che spazia da uno a sette punti, due registrano un pareggio e solo uno attribuisce alla vice presidente un vantaggio di un punto (realclearpolling.com). Se si considera che nello stesso periodo, quattro anni fa, il presidente Joe Biden era in vantaggio di un 4% è evidente come, contro Harris, l’ex presidente ha migliorato la sua candidatura di un 5%. Cosa questa di particolare rilevanza se si considera che Trump ha vinto le elezioni del 2016 con una percentuale di voto popolare inferiore del 2% rispetto alla senatrice Hillary Clinton, e che nel vincere il voto popolare i Democratici tendono a fare meglio che nel vincere il collegio elettorale, tanto che in due delle ultime tre volte in cui i Repubblicani hanno vinto la Casa Bianca, i Democratici hanno vinto il voto popolare.

 

 

In ogni caso, i sondaggi nazionali sono strumenti relativamente inefficaci per anticipare l’esito di simili elezioni, e lo sono per molte ragioni. Tra queste, la più importante è che il presidente non è eletto per tramite di un’unica elezione nazionale, ma attraverso cinquanta diverse elezioni. Per vincere la Casa Bianca è sufficiente ottenere almeno 270 dei 538 voti previsti dal collegio elettorale e distribuiti tra i vari stati in ragione del corrispondente numero di rappresentanti e senatori. Tanto per fare un esempio, nel 2020, Biden ha vinto i 55 voti elettorali della California superando Trump di 5 milioni di voti, ma non sarebbe stato diverso, avrebbe vinto sempre e solo 55 voti elettorali, se avesse vinto con un margine di gran lunga superiore oppure di gran lunga inferiore. Grande enfasi è poi posta dai Media sull’effetto che la candidatura Harris sta avendo sugli elettori più giovani, quelli dai 18 ai 35 anni, sebbene proprio questo sia il gruppo di votanti che meno di ogni diserta le urne. Eppure, i sondaggi finora prodotti sembrano indicare che Harris, per quanto riguarda questa fascia di età, sta facendo meglio di Trump ma peggio di Biden. Contro Trump, Biden ha conquistato l’elettorato più giovane con un margine di vantaggio del 21%, mentre Harris supera Trump con un margine di solo il 9%.

 

 

In merito poi all'entusiasmo eventualmente prodotto dalla sua candidatura, ben il 55% di quanti si professano democratici non si sente più motivato ad andare a votare per Harris di quanto lo fosse per Biden (CBS News/Yougov). Quanto Harris dimostri una certa vulnerabilità nei confronti di quell’elettorato giovane che tanto ha contribuito alla vittoria di Barack Obama nel 2008 è ancora più evidente se si considera che rispetto al 2020 la percentuale di giovani che si identificano come democratici è diminuita del 7% mentre quella che si identifica come repubblicani è aumentata del 10% (Pew Research Center). In realtà, i sondaggi più importanti sono quelli effettuati in quella mezza dozzina di stati privi di una chiara predominanza di uno qualsiasi dei due grandi partiti. Per ora, nonostante le apparenze, anche in questi stati Trump sembra in vantaggio.

 

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