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Cerno: il Pd e l'alleanza impossibile dei finti nemici Renzi-Schlein

Tommaso Cerno
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C’è un incubo che da ieri agita la notte del Pd. A un occhio poco allenato potrebbero sembrare due opposti. Ma a chi mastica un po’ di Dem, Elly Schlein e Matteo Renzi appaiono come nella ormai arcifamosa foto della partita del cuore: gemelli diversi. Serve fissare lo sguardo in mezzo al campo di calcio metafora berlusconiana per eccellenza della discesa del Cavaliere e delle mutazioni politiche: vi troverete di fronte ai due capi Dem immortalati nel tentativo di dire «lo famo strano» e che disvelano invece il proprio agio, come fossero sempre stati lì, abbracciati, due Stewie nella macchina del tempo caduti nella stessa puntata dei Griffin da due epoche diverse. A svelare, in questo caso alle seconde file democratiche, ciò che potrebbe cadere sulle loro teste: il ritorno di Matteo spinto dalla voglia di Elly di essere lei la grande tessitrice. E così, mentre lo scatto diventa virale, l’epidemia contagia la retroguardia del Nazareno e scatena il caos. Tutti all’improvviso si rendono conto che si può fare. E che quei due sono identici. Gli unici due ex peones diventati segretari del Partito democratico senza che lo decidessero i capi, senza il benestare dei dirigenti, senza un pedigree da veri compagni. Roba che non si era mai vista nel partito dove si sono sempre scelti il leader dall’alto, fingendo di delegarlo ai gazebo delle primarie. Non quei due, però.

 

 

No, Matteo e Elly se li sono dovuti far piacere. E ora se li devono digerire pure insieme, quando su nessuno dei due avevano davvero scommesso. A Renzi servirono due turni di gazebo per prendersi il partito, surfando sulla caduta di Pierluigi Bersani che non riuscì a prendersi Palazzo Chigi. Schlein spiazzò tutti fregando all’ultimo metro il suo ex capo, il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, che l’aveva accettata come sfidante solo perché era convinto di batterla. E così le due strade si ricongiungono e il vecchio apparato ha i giorni contati per far saltare tutto, prima che sia troppo tardi, prima che Renzi diventi la terza gamba di un’alleanza che ha bisogno proprio di un centro di qualche tipo. Certo non con le ambizioni di una volta, ma con un vantaggio competitivo: non dover scimmiottare ancora il modus berlusconianus, il karma di Arcore nell’era meloniana dove il centro è antimateria elettorale, che l’ha fatto deflagrare alle Europee. A guardar bene fra armocromista e omosessualità senza fronzoli sul carro del Pride con lo scudiero Zan a ballarle intorno, le parole d’ordine di Elly hanno un effetto «neo-renziano», perché agitano un orgoglio da ritrovare, pur traslocato sul lato opposto del campo, quello dove oggi risiedono le leadership. Ma l’effetto è lo stesso della rottamazione, in fondo: così facendo, Elly ha portato a casa lo stesso risultato che fu di Renzi: arrivare al Nazareno senza la pletora dei vecchi dinosauri, scegliendosi i suoi, spiazzando la sinistra del partito e i suoi cerimoniali, come una renziana della prima ora nei tempi dell’antifascismo, di Gaza e di Trump che ritorna.

 

 

Ecco che lo scatto galeotto (che Renzi si è prodigato di diffondere urbi et orbi) ha riaperto il cantiere ma ha già fatto saltare i nervi a mezzo Pd, ai Cinque stelle di Giuseppe Conte e alla truppa di Carlo Calenda. Ed ecco che quel colpo di fulmine (fatto anche di calcolo politico: al Pd serve ogni scampolo di voto, a Renzi serve la garanzia che dopo la debacle europea qualche posto in Parlamento per lui e i suoi fedelissimi ci sia) ha scatenato il reset di Matteo, che in poche ore sembra un altro. Dopo avere stramaledetto grillini, Ursula e referendum contro il Jobs Act eccolo a elencare critiche al governo Meloni perfino sulle liste d’attesa, lanciare appelli al campo largo, tessere le lodi di Giuseppi («si può fare») e fare dietrofront sull’Ursula bis. Perfino troppo. Tanto che già sono partiti i whatsapp dal quartier generale piddino, per ammonire l’ex segretario: va bene tutto, Matteo, ma datti una calmata. Non puoi mica tornare facendo Renzi come facevi prima. Finché a ventiquattro ore dalla partita del cuore, è scattato il contropiede del fegato. La controffensiva interna perché Elly si fermi finché è in tempo. Perché questo brutto sogno possa finire.

 

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