l’editoriale del direttore

Cerno e la nuova surreale maggioranza: l’Ue resta ferma, il mondo si muove

Tommaso Cerno

L’Europa resta ferma mentre il mondo si muove. Eroica a parole ma capace, dopo l’impeto elettorale di giugno, di riprodursi solo per mitosi, identica a se stessa. E incapace al contrario di incanalare il senso del voto del 9 giugno nell'istituzione. L’Ursula bis sembra dire, a chi alle urne ci è andato, che in fondo non serviva. Quando invece doveva essere proprio lei a pretendere questo sforzo, a imporlo, a imprimere al Ppe la necessità di spostare lo sguardo, di progettare un’alternativa, chiedendo a destra e sinistra un passo nella nuova direzione. Quello che, va detto, Antonio Tajani si è sforzato di fare. Fermato da due elementi: una trattativa sotterranea fra Schlein, Scholz e Sanchez. E un limite politico del protagonista di questa vicenda: Ursula von der Leyen. Che pur di tornare a sedersi su quella poltrona ha mollato sul più bello.

 

 

Eppure se la sostanza politica di quanto avvenuto in Europa negli ultimi due mesi è questa maggioranza sbilenca, i guai che ci aspettano sono molti. Non tanto perché a novembre Donald Trump potrebbe riprendersi la Casa Bianca e azzerare le regole di ingaggio degli Usa di Joe Biden, ma perché il distacco fra palazzo e richiesta della strada ha ormai raggiunto un livello di allarme. Ursula sa bene che l’accordo originale era diverso. E sa pure che la destra, mutata di natura in questi due mesi, ne poteva far parte. Un elemento politico che avrebbe reso von der Leyen un leader e la natura della nuova maggioranza dinamica e forte. Ma Ursula forte non è. E ha scelto, lei, di far prevalere – su spinta dell’altro tedesco in crisi di identità, Olaf Scholz – la versione dei socialisti tedeschi, che temevano – non conoscendo affatto le chiacchiere di casa nostra – che il Pd di Elly Schlein non votasse per il bis, se dentro la maggioranza ci fosse stato il partito della premier Meloni. Una scemenza, che oltralpe però è circolata. E che, all’indomani della trattativa frettolosa su posti e poltrone, ha fatto cadere su Ursula l’ipotesi di un non voto, mandando – pur senza troppa eco sulla stampa italiana – i vertici del Pse in tilt per qualche settimana. Ora però, scelto di stare con la sinistra alla guida dell’Europa, e passati i giorni in cui ci ripeteranno che cascherà il mondo perché Giorgia Meloni (questo è già il ritornello del Nazareno da ieri) ha fatto il primo errore di questi ventuno mesi di governo non votando per Ursula, e bla bla bla, la realtà non sarà affatto questa.

 

 

Ci aspetta un’Europa inutile se l’obiettivo è fermare la rivolta delle classi medie al continente a misura di élite. E ci aspetta un’Europa che, per riuscirci, chiederà lo sforzo più grande ai tre Paesi dove vivono la maggioranza dei delusi di questa soluzione, coloro che avevano invocato un cambiamento, e che non sono l’Ungheria di Orban o l’isola delle Rose, ma i paesi fondatori Italia, Francia e Germania. Proveranno a dirci che è da qui che viene il freno, mentre è chiaro da ieri che le responsabilità politiche di ciò che sta per ricominciare dovranno ricadere su chi questa surreale maggioranza da stanza dei bottoni la compone: una specie di centrosinistra che ingloba Pd, Verdi e Popolari, pur con tutti i distinguo che sappiamo. Perché a nessuno spaventa l’asimmetria delle maggioranze Italia-Europa, anche i sassi sanno che c’è stato pure di peggio in passato. Ma stavolta non siamo noi, l’Occidente, a dare le carte. Non siamo noi a imprimere verso e velocità della marcia. Non siamo noi a decidere cosa succede all’Europa. E dà davvero intorno l’effetto di questo bis senza energia politica sarà quello di dire, a chi decide davvero, che l’Europa ha saltato il giro. E che il suo unico problema è stato dimostrare a se stessa che, in fondo, non era successo nulla. Ma come dimostra l’America, è successo molto. Molto più di un Ursula bis.