attentato a trump

Trump, la sberla di Paragone: lasciamo agli illuminati democratici le teorie della messa in scena

Gianluigi Paragone

Ognuno di noi ha già in mente la chiave di lettura dell’attentato a Donald Trump e le bolle dei social ci conforteranno nelle nostre interpretazioni, svelando finalmente che le perversioni complottiste sono anche nel campo democratico, degli eletti e degli illuminati. A loro lasciamo le bizzarre teorie per cui il “pericoloso” Donald si sarebbe organizzato questa messa in scena per consegnarsi al mito; noi ci teniamo stretta la magra consolazione di avere detto più di una volta che, nella fase finale della sua corsa, avrebbe avuto pericoli molto seri circa la sua libertà o la sua incolumità. Ma lasciamo agli americani ogni bandolo della complicata matassa e cerchiamo di leggere le future mappe, di decifrarne le linee rosse per focalizzarci sul ruolo possibile per il governo Meloni.

 

 

Che intende fare la premier? L’elezione di Donald Trump ormai appare più certa e un eventuale altro inciampo alla sua persona scatenerebbe una guerra civile dalle conseguenze catastrofiche. Donald Trump viene quotato come il prossimo probabile presidente degli Stati Uniti, in un mondo ancor più destabilizzato dai conflitti di quanto non lo fosse al primo mandato; dalla Casa Bianca si rivelò - fattore mai sottolineato abbastanza - un presidente pompiere: la sua idea di far grande l’America passa dal rilancio dell’economia reale, passa dal saper fare degli americani e dalla inesauribile capacità di creare uomini di business dal nulla. Insomma, niente guerre o basta guerre. Lo ha sempre detto guardando anche in Ucraina e a Gaza dove Israele combatte da un tempo che non aveva mai sperimentato prima. Non cercherà la pace perfetta ma le mediazioni convenienti e durature. Trump non è putiniano ma gli riconosce un ruolo di “cuscinetto” rispetto alla Cina e Putin, nella sua intervista a Tucker Carlson, in un passaggio fece intendere alla Casa Bianca se ne valesse la pena concentrarsi su di lui mentre la Cina allargava il suo compasso predatorio.

 

 

Trump sta studiando le dinamiche Brics plus e la loro capacità di innervarsi in spazi di mercato dove l’America viene vista come nemico. Trump è amico di Orban e questo feeling viene letto con i soliti occhiali distorti del mondo democrat e neoliberista. E potremmo andare avanti ricordando posizionamenti ben conosciuti. Perché Trump è un libro aperto: si sa come la pensa. A questo punto tocca a noi dare una risposta sul ruolo che vogliamo avere, sapendo che siamo persino in ritardo. La Meloni ha dimostrato di avere un occhio attento e sensibile sulla Casa Bianca e sulla Nato; adesso però ha la possibilità di ritornare alla sua grammatica, ad un sovranismo che significa il bene del popolo sovrano. Se il 5 novembre Trump vincerà, sarà nei fatti il presidente già dal 6 novembre perché questo mondo in fiamme non aspetta le liturgie: chiede politica e chiarezza di posizioni. Cosa farà il governo italiano? Seguirà l’America di Trump o la Ue della Von Del Leyen?