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Cerno: Berlusconi e la sinistra fuori tempo. Un'ossessione mai scomparsa

Tommaso Cerno
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Nell’attesa che i milanesi, che ogni mattina gli dedicano almeno un pensiero quando fanno la gimcana fra spacciatori e senzatetto alla stazione centrale di Milano, dedichino proprio a lui, il sindaco Beppe Sala il terminal mussoliniano che dal cuore della città della Madunina si connette al resto d’Italia, pagheremo il conto del ricorso al Tar contro l’intitolazione a Silvio Berlusconi dell’aeroporto di Malpensa con cui l’esponente Pd (o quasi) da un po’ fuori dai giochi del Nazareno ha deciso di risalire a pieno titolo sul ring politico italiano. Si domanda il sindaco di Milano, anzi lo chiede a Marina Berlusconi, se «non sarebbe stato meglio aspettare». La risposta è no. E viene dritta dalla storia della sinistra e dell’antiberlusconismo militante di questi decenni. Sa bene, chi ha studiato il fenomeno del Cav dalla sponda del dissenso, che se c’è una questione a sinistra che rimane irrisolta, un male incurabile dell’anima progressista, un Orcux harrypotteriano, riguarda proprio la pietra filosofale del duello mai risolto: l’ossessione per il Cavalier Berlusconi. Un’ossessione atavica, maleodorante, che prima finisce e meglio è per tutti.

 

 

L’ossessione non di sconfiggere Silvio (ci erano riusciti due volte con Romano Prodi), bensì di estrometterlo dalla politica italiana. Perché tale politica somigliava troppo a lui, forse, a lui che lui l’aveva reinventata nel 1994 rivoluzionando il linguaggio e creando, in una sola mossa, tanto la destra di governo quanto la nuova destra che governò allora e governa ancora oggi, pur mutata nel tempo e nei leader, il Paese. Il decollo e l’atterraggio del modo di essere destra e sinistra in Italia partì dall’aeroporto Berlusconi. E impose una mutazione ai compagni, che presero le sembianze del berlusconismo, ma le distanze da Berlusconi. E sta proprio qui, in questa ossessione di restare soli, perché gli altri non sono “degni”, che la sinistra ha cominciato a imboccare, contro Silvio l’omnipresente, la strada del rinvio. Primo su tutti il rinvio del conflitto di interessi. Ai tempi del Leader Massimo (D’Alema) i Ds e i loro alleati avevano i numeri e il clima politico parlamentare e di piazza per costruire una legge che impedisse a Berlusconi di possedere un impero editoriale e al tempo stesso sedere a palazzo Chigi. Ma non lo fecero. Come suggerisce oggi Sala a Marina, presero tempo. E non lo fecero per paura, né per incapacità, ma per scelta politica. Pensarono, facendo un errore, che un Berlusconi «in volo» fosse più debole di un Berlusconi «atterrato». Pensarono che gridare al golpe fosse più redditizio in termini politici che costringere Sua Emittenza, come lo chiamavano allora, a cedere le quote di Mediaset a qualcun altro. E da quel momento, il rinvio fu la pista di decollo e di atterraggio di ogni progetto anti-Silvio. Si scelse sempre l’attesa. L’attesa di processi. Poi l’attesa delle sentenze. L’attesa dell’età. L’attesa del tracollo finanziario. Ma Berlusconi era sempre presente. Al centro della scena. A mostrare ai suoi avversari che la strategia dell’attesa non aveva funzionato. Che aspettare non era il suo forte.

 

 

E così mentre dopo un secolo, finalmente, si parla di Milano Malpensa, un grande scalo mai entrato davvero nell’immaginario degli italiani, Sala ci ricasca. E senza rendersi conto, appunto, che farebbe molto meglio a occuparsi della stazione centrale di Milano, chiede tempo. Ancora tempo. Tempo per capire il motivo per cui, mentre per la destra è morto, per la sinistra Berlusconi evidentemente è ancora vivo. Ed è rimasto al centro di ogni pensiero. Tempo per dirsi che quel signore, scritto sopra all’insegna di quell’aeroporto, sarà pure divisivo, sarà pure un atto politico, farà pure incazzare qualcuno, ma un senso ce l’ha. Mentre fra i suoi avversari di intitolazioni del genere ce ne saranno ben poche, temo. Divisive o non divisive. E questo, credetemi, non cambierà nemmeno con tutto il tempo del mondo.

 

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