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Scuola, l'opinione di Feltri: quelle studentesse piene di coraggio e il primo sciopero della maturità

Vittorio Feltri
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La ragazza che ha messo in scena il primo «sciopero della Maturità» per reagire alla sfilza di 3 e 4 inflitti nella versione di greco alla terza A del classico Foscarini di Venezia non passerà alla storia come una novella Giovanna d’Arco, e non verrà ringraziata a lungo dai compagni di classe già blanditi dal pensiero delle spiagge e assetati di nuove esperienze. Ma ha avuto sicuramente il merito di porre l’accento sui limiti di un esame che, introdotto dal filosofo Giovanni Gentile nel 1923, procede il suo cammino sgangherato di centenario aspettando che qualcuno lo pensioni. Ricordiamo tutti quel giorno: il fatidico esame orale successivo al tema di italiano e alla seconda prova scritta. Il procedere lento sullo scalone in direzione del patibolo, le mani sudate ancorate ai bordi della maglietta, la bidella con l’accento del sud che finalmente sorride e non impreca e gli amici, i migliori, assiepati nei corridoi e ai lati dell’aula del “tribunale scolastico” coi frammenti di nozioni e cazzate infilati nelle tasche. Linda Conchetto, questo il nome della giovane veneta, si è accomodata sulla seggiola col suo solito garbo e di fronte agli sguardi severi dei prof ha scelto di non rispondere per protesta contro un sistema di giudizio che secondo lei non funziona più. Poteva accontentarsi del sei e mezzo, replicare alle domande della commissione e proseguire la sua strada comoda e tracciata fino al portone della scuola. Ma ha preferito alzare la voce tacendo, anzi leggendo una lettera di poche righe in cui spiegava che non si possono umiliare in una versione di greco ragazzi così brillanti. Altre due compagne hanno fatto la stessa cosa.

 

 

E’ stata promossa, Linda, perché è una studentessa eccellente oltreché talento dell’atletica leggera. Ma certo ha dato del filo da torcere alla commissione e avendo abbassato la media dei voti perderà, forse, parte della borsa di studio che le è stata assegnata per la Miami University in Ohio. Non conosco quella versione di Platone e non so dire chi nel merito della questione abbia ragione. Se la ragazza a sostenere che sia stata troppo severa la commissione. O la commissione a pretendere una preparazione più adeguata. Mi domando però che senso abbia continuare questo rituale stantio della Maturità, infliggendo ai nostri giovani una prova ulteriore rispetto a quelle sostenute in cinque anni. L’impressione è che il sistema scolastico attuale spesso confonda la severità con la qualità della dottrina. Si impongono prove e verifiche sin dalla prima elementare. E se un bambino di sei anni non riesce a stare al passo con gli altri, perché i sistemi di apprendimento sono mutati e i tempi per svolgere i programmi serrati, si invocano difficoltà cognitive e professori di sostegno che non servono a nulla se non a isolare in una bolla di inadeguatezza dei fanciulli innocenti. La scuola media è diventata un limbo in cui i professori non riescono nemmeno a imparare i nomi dei loro discenti. Mentre i cinque anni di liceo sono costellati di verifiche in funzione delle quali i meno dotati cadono e più dotati vanno avanti. Basta la media del 5 in una materia per prendere un debito odioso ed essere rimandati a settembre con la presunzione dei prof e la speranza ingenua delle famiglie di rimediare alle lacune di un anno in poche settimane di studio matto e disperatissimo.

 

 

E’ vero, la prova di Maturità si è molto ammorbidita rispetto all’originale del filosofo Gentile che nella sua genialità aveva pensato un sistema complicato di selezione con quattro prove scritte e orali su tutte le materie e docenti esterni, in gran parte professori universitari. Talmente dura che all’esordio registrò appena il 25% dei promossi mentre nel 1925 solo il 60% consegui la maturità classica e il 55% quella scientifica. Insomma, una morìa di studenti non certo paragonabile a quanto si verifica nelle classi odierne dove pure si inanellano bocciature, contestazioni e ricorsi al tar. Però l’esame merita una riflessione, non una riforma semplice come ne sono avvenute mille negli anni a seconda dei governi e dei ministri. Giusto che un percorso scolastico eccellente sia sbriciolato da un esame non troppo brillante? O viceversa che non si tenga conto di una prova scadente perché l’andamento scolastico è stato lineare e sopra la media del sette? Delle due l’una. O conta l’ultima prova o non conta. E se non conta che si levi. Uno studente che non sia maturo e non abbia contezza del valore sublime della conoscenza non arriva nemmeno alla quinta, si ferma molto prima. Viene bocciato nel corso degli anni e lasciato a pascolare sui banchi, oppure molla la scuola trovandosi un lavoro qualunque anziché continuare quell’inutile supplizio. Ma se arriva alla quinta è perché dei professori più titolati di noi a giudicarlo l’hanno ritenuto idoneo e capace.

Persino il presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, Antonello Giannelli, ha detto che la maturità non ha valore pratico in quanto “le università poi fanno dei test indipendenti e comunque non si basano sul voto di maturità, figuriamoci i datori di lavori interessati ad assumere qualcuno che si diploma soprattutto negli istituti tecnici o professionali”. Tra l’altro leggo che annoveriamo nelle classi gli studenti più ansiosi d’Europa, forse del mondo. Vanno a scuola con il terrore della prestazione mentre noi godevamo gli anni delle superiori trastullandoci nel tran tran quotidiano dei compiti e nel rituale emozionante del gruppo che cresceva e diventava adulto guidato da docenti motivati. Prove su prove sono comminate ai nostri giovani in un clima di estrema competizione dove bravi professori sono esasperati e malpagati, e il diktat è finire i programmi nel più breve tempo possibile, lasciando poco spazio alla riflessione e all’approfondimento. Possibile che i liceali vadano in piazza a urlare e srotolare striscioni contro la guerra a Gaza e poi non sappiano rispondere a una sola domanda sul conflitto in atto? Digressioni, lo comprendo. Ma qualcosa non torna. Ed è ormai “maturo” il tempo per un cambio di passo complessivo.

 

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