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Ursula von der Leyen e la democrazia dell'assurdo

Tommaso Cerno
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Anche un pirla si accorge che la novità di queste Europee è la destra che vince e fa tremare Francia, Belgio e Germania. Eppure, nella democrazia dell’assurdo, già nel Palazzone si fanno le prove di Ursula bis con la sinistra mazzolata, alla faccia del popolo sovrano. Un riflesso automatico di un sistema abituato a fare da solo. Peccato che, stavolta, la distanza fra Bruxelles e le grandi capitali europee sia abissale. E, se sarà proprio Ursula von der Leyen a insistere, perché tutto cambi perché nulla cambi, stavolta si mineranno le fondamenta stesse dell’Unione. Già l’Unione, quella bestia zoppa con la testa lassù nel Palazzo Europa, pieno di bandiere che sventolano, e l’anima ribelle nella vita di tutti i giorni di milioni di italiani, francesi, tedeschi laggiù fra la gente, nelle periferie delle capitali nazionali del continente, nei paesi desertificati, nelle fabbriche in crisi. Ursula dovrebbe partire da questa dicotomia, dovrebbe avere l’aspirazione di costruire un’Europa capace di compenetrare queste differenze di visione e di aspettativa. Perché è vero, certo, che il Ppe è il primo partito in Europa, ma è anche vero che il messaggio che viene dalle urne è che i popolari hanno vinto “nonostante” Ursula e non certo grazie a Ursula.

 

 

Se è vero, dunque, che il Ppe ha il diritto-dovere di proporre la guida della nuova commissione, così come se è vero che i numeri di Strasburgo sono come le frasi della Sibilla, ognuno li legge come gli comoda, è anche vero che il risultato politico del voto è un altro: la gente vuole cambiare. E invece Ursula parla ancora di «fermare le destre», «gli estremisti», in una specie di politically correct a rovescio, dove parlar male dell’avversario mette a posto la coscienza di chi progetta un governo che non rispecchia il voto popolare. Quando invece la questione è opposta: deve comprendere Ursula che qui non si tratta di fermare chicchessia ma piuttosto di costruire qualcosa di nuovo, che dia voce anche a quel popolo che ha creato un terremoto da Parigi a Berlino. Ursula non sta facendo questo, però, perché teme per la cadrega. Si è messa sulle barricate e si prodiga per dirci che in Europa tornerà tutto come prima. Che sarà lei a sedere sulla stessa poltrona di prima. Che farà le stesse cose di prima. Un errore che, dopo il disastro in Francia e lo scioglimento dell’Assemblea nazionale da parte di Macron, può diventare fatale.

 

 

È qui che l’Italia gioca un ruolo chiave. E lo gioca al di là dell’algebra. Perché Giorgia Meloni con i suoi alleati Salvini e Tajani non solo tiene botta nel voto (da forza di governo e non di opposizione come invece in Francia) ma è lì a dimostrare alla scettica Ursula che un’alleanza fra centristi, cioè popolari, e destra, cioè conservatori e partiti considerati «estremisti» dal Palazzo, è possibile. Eppure non sarebbe difficile capire perché in Europa cresca la destra e perché, anche per chi non la pensa così, abbia diritto di cittadinanza. Le ragioni sono semplici: milioni di persone lavorano e sono piene di debiti, pagano per guerre di altri, rivoluzioni green che arricchiscono altri, integrazione dove magnano (e pure rubano) altri, e da parecchio tempo nessuno disegna invece un futuro per loro. Detta in italiano, il Ppe dovrebbe porsi il problema di diventare un elemento di equilibrio fra forze diverse da quelle che hanno governato l’Europa negli ultimi cinque anni, facendo lo sforzo di ascoltare e non di giudicare la voce di milioni di cittadini delusi. Se non lo farà, il divario fra Bruxelles e i governi nazionali aumenterà, mettendo a rischio l’Europa stessa. Possiamo dirci finché vogliamo che è la gente a non capire, ma se c’è una cosa della democrazia che ancora funziona è che decide il popolo.

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