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Il Tempo compie 80 anni e continua a raccontare l'Italia e il mondo che cambiano

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Tommaso Cerno
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Proprio come una macchina, la macchina de Il Tempo, sotto questa testata ha preso vita il grande racconto dell’Italia che cambiava. Da quel 6 giugno 1944, il giorno dopo la liberazione di Roma, quando le truppe americane guidate dal generale Mark Wayne Clark superarono le ultime, disperate linee difensive dell’esercito nazista tedesco ed entrarono nella Città eterna, accolte dal popolo romano in festa. Lo racconta la prima pagina riprodotta qui a fianco, un manifesto di libertà e indipendenza, come ancora recita la nostra testata. Uno spiraglio di luce dentro l’incubo di una guerra che non era mai finita e da cui è nata l’Italia nuova. Da quel giorno, Il Tempo c’è sempre stato. Ha sempre raccontato. Ha spesso criticato. Ha molto indagato. E ha scoperto e rivelato fatti e complotti della Repubblica. Ha sofferto e ha gioito insieme a voi. Insieme agli italiani che stavano costruendo il futuro di questa città senza eguali e di questo meraviglioso Paese.

 

 

Ci troviamo dopo ottant’anni a festeggiare questa grande storia comune. Ottant’anni di giornalismo che ci consegnano un patrimonio di conoscenza, fatto di fotografie, articoli, commenti, interviste, scoop. Ma anche un compito: andare avanti su questo solco, nel nuovo mondo dell’informazione mutato da tecnologia, velocità, globalizzazione, Internet. Potrei armarmi di retorica e dirvi che lo faremo di sicuro. Ma non sarebbe un regalo di compleanno adatto a Il Tempo. Perché se c'è una lezione che il nostro quotidiano, il giornale di Roma, ci ha dato è di fuggire da ogni banalità, da ogni frase fatta, da ogni racconto lezioso, preconfezionato. Ci ha insegnato a combattere contro il conformismo, anche quando ti sembra di essere rimasto solo. L’obiettivo è fare come ha fatto Il Tempo in questi ottant’anni: riuscire cioè, attraverso i fatti di cronaca, i resoconti politici, i reportage culturali, le inchieste e la dialettica, anche aspra, a far crescere una comunità più informata e quindi più consapevole.

 

Riuscire a formare una libera opinione grazie al lavoro di giornalisti, editorialisti, intellettuali, tipografi, stampatori fino agli anni più recenti della rivoluzione digitale, dei social e della cultura del giornalismo diffuso. E sempre grazie anche a editori che ci hanno lasciato la libertà. È questo il regalo che io provo a trasmettervi, da custode temporaneo di questa storica testata. Vi prometto che Il Tempo che da oggi ricomincia, nei suoi secondi ottant'anni, cercherà con ogni sforzo di mantenere al centro del suo giornalismo l’insegnamento che viene dai grandi direttori che si sono seduti qui dove oggi siedo io, e soprattutto dalla grande scuola di informazione che questo quotidiano è stato. Schietto ma anche pronto a cambiare idea, a mettersi in discussione, a non fuggire il dubbio. In fondo è la metafora della storia di Roma, la più bella Città del mondo, e del suo territorio. L’Urbe che somma secoli di grandezza e miseria, miti pagani e fede cristiana, sapienza antica e saggezza popolare, uniti in un unicum che ha come elemento distintivo il coraggio e l'originalità. Anche quando si sbaglia. Anche quando si poteva fare meglio. Come ogni giorno, nel nostro lavoro, accade.

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