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Trump, l'analisi di Tommasi: “Se non scatena la piazza può tornare presidente”

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Paola Tommasi
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Se non scatena i suoi per le strade come a Washington il 6 gennaio 2021, Donald Trump diventa Presidente pure condannato. Se invece cede alle intemperanze, finisce per dare linfa alla campagna di Joe Biden che proprio sulla democrazia americana a rischio ha centrato la sua comunicazione elettorale. Fare la vittima della giustizia fa bene ai sondaggi di Trump, ma manifestazioni popolari troppo agitate lo danneggerebbero. Anche perché l’eventualità di una condanna, che ieri si è realizzata, era stata già scontata dai misuratori del consenso, così come lo stesso staff dell’ex Presidente, nell’organizzazione della campagna elettorale, aveva elaborato due scenari: con e senza imputazione. Gli elettori repubblicani negli Stati Uniti sono di tre categorie: lo «zoccolo duro» trumpiano che lo vota anche quando dichiarato colpevole di reati penali, come in questo caso; un secondo sottogruppo lo vota perché comunque Joe Biden è peggio; una terza parte di elettori non gradisce Trump ma non si sente di votare il partito democratico. C’è di più: conoscendo i precedenti del personaggio, dai fallimenti delle sue società, da cui si è sempre rialzato, ai vari scandali che nel tempo lo hanno travolto ma da cui non è stato scalfito, le condanne arrivate giovedì notte non stupiscono il suo bacino elettorale che da sempre lo conosce per quello che è. Se poi la gestione del dopo condanna avviene senza eccessi e senza creare disordine pubblico, fino a novembre succederanno tante di quelle cose nel mondo che gli americani si saranno ben dimenticati del processo sui soldi dati alla pornostar per comprare il suo silenzio e riportati in maniera illecita nei libri contabili.

 

 

Dal caso concreto Trump cercherà quindi di estrapolare un messaggio più ampio per cui si porrà come baluardo tra il popolo e la persecuzione politica. «Non è un processo contro di me - continua a ripetere - ma contro di voi». Con l’aggiunta che Trump ha le spalle larghe e le risorse finanziarie per poter combattere la battaglia, molti cittadini comuni no, e lui vuole evitare che si trovino nella spiacevole condizione di essere indagati per posizioni politiche più per effettivi illeciti compiuti. La campagna elettorale era partita in tal senso fin dall’inizio e Trump si dichiarava «prigioniero politico» già prima della condanna: tra ieri e oggi poco è cambiato. Ma deve restare uno degli argomenti del dibattito e non l’unico, perché trascurare guerre ed economia, su cui Joe Biden riscontra invece un forte calo di consenso, potrebbe rivelarsi un passo falso. Biden sta lavorando sodo per rifarsi un’immagine che lo porti a novembre lucido e ringiovanito, in forma fisica e psichica tali da poter affrontare un secondo mandato, mentre Trump rischia di arrivare lacerato dagli eventi. In più, il Presidente in carica sta spingendo forte l’acceleratore per risolvere i problemi sull’immigrazione al confine con il Messico e per porre fine alle guerre in Ucraina e Israele. Se riuscisse a portare questi risultati, la rielezione sarebbe più semplice: Trump ne è ben consapevole e non può smettere di parlarne solo per fare la vittima di una giustizia a suo dire ingiusta. Anche perché Biden le soluzioni in tasca non ce le ha, Trump forse sì e sarebbe un peccato se per una cattiva gestione della fase elettorale post condanna di ieri smettesse di far conoscere la parte più importante del suo programma per la Casa Bianca.

 

 

Quando dice che bombarderebbe la Russia per far finire la guerra lo fa perché sa che Putin lo teme e davanti a una presa di posizione così dura di Trump probabilmente arretrerebbe mentre fino a quando Presidente sarà Biden, la Russia ha gioco facile al confine con l’Europa. Altro che cessione alla Russia, il piano di Trump per porre fine al conflitto in Ucraina è mettere Putin nell’angolo. Così come è pronto a scendere in maniera forte al fianco di Netanyahu in Israele per risolvere una volta per tutte il conflitto in Medio Oriente. D’altronde nel suo primo mandato Trump ha dimostrato di saper fare bene in politica estera. Al netto di tutto il resto, questo glielo riconoscono tutti.

 

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