Giustizia, “la vera madre di tutte le riforme”. Minzolini: passo essenziale per un Paese normale
A Palazzo Chigi l’approvazione in consiglio dei ministri della riforma della giustizia è stata accolta con un applauso. In Parlamento a parte la naturale esultanza di Forza Italia e dei garantisti non c’è nessuno che neghi che si tratti della riforma più importante. C’è chi sostiene che forse lo è pure troppo per andare in porto. «Essendo fondamentale - sostiene il leghista Stefano Candiani - l’avrei approvata al di fuori della campagna elettorale perché riguarda tutti». Mentre Pierferdinando Casini mantiene il tradizionale scetticismo democristiano: «È la prima delle riforme, quella davvero fondamentale, non c’è dubbio. Ma è la ragione per cui tra le pieghe dell’iter parlamentare e del probabile referendum sarà annacquata o non si farà. Nordio è un ministro pappamolle». Sarebbe davvero un peccato, però, se Casini ci azzeccasse perché, a rileggere la storia di questi anni, la riforma della giustizia con la separazione delle carriere, con la creazione dei due Csm uno per i giudici e uno per i Pm, con l’istituzione di un organismo «ad hoc» - l’Alta Corte - per giudicare i magistrati che sbagliano, con l’elezione per sorteggio dei membri del consiglio Superiore della Magistratura per depotenziare al massimo le correnti che mettono le casacche alle toghe e, infine, con i test attitudinali per chi intraprende il difficile mestiere del giudice, è un passo essenziale per trasformare l’Italia in un Paese normale.
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Sul piano politico senza questa riforma le altre camminerebbero su un terreno minato. E già il fatto che questo governo ci abbia tenuto ad approvarla prima di una scadenza elettorale significa che un argomento che quarant’anni fa era considerato spinoso se non addirittura scabroso - basta ricordare le manifestazioni di piazza che accompagnarono l’approvazione del decreto Biondi da parte del primo governo Berlusconi - ora invece è un tema da esaltare di fronte agli elettori perché è cambiata la coscienza collettiva: a parte gli ultimi giapponesi del giustizialismo che continuano a recitare la loro parte, nella maggioranza dell’opinione pubblica, infatti, è passata l’idea che si tratti di una riforma necessaria, che così non si poteva andare avanti. Mille cittadini l’anno risarciti per errori giudiziari non è un numero da poco. Dire che la riforma della giustizia è la madre di tutte le riforme, però, non è solo un’affermazione roboante. C’è molto di vero. Per fare un paragone: la riforma del premierato punta a rendere i governi più stabili; sul piano istituzionale sarà sicuramente efficace, solo che se non si regola il rapporto tra politica e giustizia la stabilità di governo potrebbe rivelarsi un miraggio anche con un Premier eletto direttamente dai cittadini. Basta guardare a quanto è successo in questa campagna elettorale: il Governatore della Liguria, anche lui eletto direttamente dai cittadini, è finito sul banco degli imputati, addirittura arrestato, sulla base di un’inchiesta che per ora non ha portato prove chiare e incontrovertibili della sua colpevolezza. La sua colpevolezza è tutta da dimostrare ma intanto Giovanni Toti è stato liquidato, reso inerme politicamente. È l’esatta fotografia di quanto è accaduto negli ultimi decenni.
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Il governo Berlusconi nel 1994, il governo Prodi nel 2008, ancora il governo Berlusconi nel 2011 sono caduti sull’onda di iniziative giudiziarie. Altri esecutivi sono stati falcidiati nella loro compagine dalle procure come pure leadership di partito sono state logorate, sfinite da inchieste che poi sono naufragate (Matteo Salvini e Matteo Renzi). Questo per dire che se non si trova un modo per regolare il rapporto tra politica e magistratura un Premier potrà pure essere scelto direttamente dai cittadini e magari pure dalla Spirito Santo, ma rimarrà comunque fragile. Anzi - sembrerà un paradosso ma non lo è - più l’investitura sarà forte, più la possibilità di cambiarlo sarà difficile sul piano parlamentare e più chi vorrà farlo fuori non avrà altra scelta che utilizzare la via giudiziaria. E in Italia non mancano certo gli esperti del settore. Recita il proverbio: «Male non fare, paura non avere». Certo ma andrebbe detto appunto ai mille italiani che ogni anno sono vittime di errori giudiziari. Ma loro almeno sono risarciti. Un politico che invece viene disarcionato nell’ambito di un’inchiesta che poi si rivelerà un «flop» difficilmente potrà rimontare a cavallo. Ecco perché la riforma della giustizia è essenziale per marcare un «prima» e un «dopo» nella Storia di questo Paese. Si tratta però di un concetto che deve entrare nella mente della gente perché è scontato che chi è contro la riforma punterà, come nel caso del premierato, tutto sul referendum. E i referendum sono sempre una brutta bestia. Osserva il leghista Candiani: «L’autonomia si salverà sicuramente perché il referendum abrogativo prevede il raggiungimento del quorum ed è difficile di questi tempi portare al voto più del 50% degli italiani. Gli altri due, invece, sono costituzionali quindi non hanno quorum: quindi è più dura perché sarà un duello diretto tra “si” e “no”».
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