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Iran, l'ipocrisia di fronte alla guerra: se pacifisti "benedicono" l'attacco a Israele

Le piazze occidentali impiegarono appena poche ore per dimenticare l’origine della guerra di Gaza ossia il pogrom perpetrato da Hamas frai civili ebrei con il bilancio terrificante di oltre 1.200 vittime, stupri, atrocità e la deportazione di trecento ostaggi – e per concentrare l’attenzione solo sulle vittime palestinesi della rappresaglia israeliana. Allo stesso modo, e per le stesse ragioni, in queste ore il pacifismo non è stato scosso da alcun moto di indignazione per l’attacco iraniano a Israele col lancio di centinaia di missili e droni, prendendo evidentemente per buona la tesi del regime di Teheran che si sia trattato di un mero atto di «legittima difesa» dopo il blitz israeliano nel consolato iraniano di Damasco.

C’è un velo di ipocrisia tutto ideologico che condiziona questa diversa sensibilità di fronte alla guerra, e che rende più meritevole di supporto il popolo palestinese rispetto, ad esempio, a quello ucraino martoriato dalle bombe russe, e il motivo è tristemente spiegato dal pregiudizio contro Israele, che arriva a mettere in dubbio perfino la legittimità della sua esistenza. Il pacifismo, insomma, si è accodato supinamente al rifiuto islamico della presenza ebraica in Medio Oriente che nasce – è sempre bene ricordarlo – ben prima della nascita di Israele, uno Stato sovrano che da lustri è sotto il tiro dei razzi lanciati da Hamas e dagli Hezbollah libanesi sostenuti dall’Iran. Si sono mai chiesti i nuovi sessantottini filo-islamici da dove vengono le centinaia di missili con cui Israele è stata a più riprese colpita dalla Striscia di Gaza? Lo spiegò bene un alto ufficiale palestinese della Jihad Islamica, Ramez al Halabi: «I missili con cui bombardiamo Tel Aviv, le nostre armi, i nostri soldi, il nostro cibo, sono tutte forniture iraniane».

 

Anche il segretario di Hamas, Yahya Sinwar l'aveva ammesso nel 2017: «Senza assistenza iraniana, non potremmo sparare i missili, il generale Soleimani ha messo a nostra disposizione la forza della Guardia Rivoluzionaria». Ovvero, dell'esercito di conquista iraniana. E dunque l’eliminazione di Soleimani da parte di Israele non fu il sacrificio di un martire innocente. In «Palestina», il libro dell’ayatollah Khamenei, la Guida Suprema sciita pianifica senza mezzi termini la distruzione del «regime sionista» non attraverso una guerra classica, ma con un conflitto a bassa intensità per fiaccare la resistenza israeliana e indurre la comunità internazionale «a non poterne più degli ebrei». E nel giorno dell’indipendenza dello Stato ebraico l’Iran ripete ogni volta che «l’entità illegittima di Israele rappresenta una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale». Per far sparire Israele dalla carta geografica Khamenei usa tre parole: annientare, dissolvere e cancellare, ed è sinistramente lo stesso concetto urlato nei nostri cortei da chi inneggiaauna«Palestina dal fiume al mare».

L’unica causa del Medio Oriente in fiamme è solo e soltanto, dunque, l’Iran degli ayatollah, che ha avuto sicuramente un ruolo nello spaventoso massacro del 7 ottobre, finanzia il terrorismo islamico, nega la Shoah e la sua teologia giustifica anche la jihad nucleare, per cui la bomba di Teheran sarebbe mille volte più pericolosa di quella indiana, pakistana, israeliana e persino nordcoreana. Per questo la trincea di Israele è anche la nostra: a 76 anni dalla fondazione, dopo numerose guerre e tentativi di pace falliti, mai come oggi l’esistenza dello Stato ebraico è stata così in pericolo, mentre nel mondo l’antisemitismo ritrova incredibilmente vigore. E oggi più che mai, dunque i nemici di Israele sono nostri nemici, perché non vogliono colpire il Piccolo Satana, ma l’intero Occidente, la modernità, la democrazia, la libertà. Israele è il solo Paese democratico del Medio Oriente, erede di una cultura e di valori che appartengono alla tradizione giudaico-cristiana, che dunque ci appartengono. Ma le pulsioni antisemite (e antioccidentali) alimentate da troppi cattivi maestri trai banchi dei nostri atenei rinnegano storia e valori, in una delirante spirale per cui Israele è nel torto anche quando viene bombardato.