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Minzolini azzera Conte: il pifferaio del Superbonus che fa la morale agli altri

Augusto Minzolini
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A volte si dimentica l’a, b, c della politica specie dalle parti dell’attuale Pd. In proposito: è normale che Giuseppe Conte ponga la questione morale al partito di Elly Schlein e due giorni dopo la segretaria rimaneggi (perchè si è trattato solo di un piccolo make up) il codice etico? Bhe, difficile crederlo eppure le cronache dell’ultima settimana raccontano proprio questo. Eppure sulla carta il Pd dovrebbe essere l’erede di un pezzo di Dc, quella di Aldo Moro che gridò «non ci faremo processare sulle piazze», e di Enrico Berlinguer che fu il primo ad inventarsi la questione morale. E, invece, ora è il partito che segue l’avvocato di Volturara Appula come i topolini andavano dietro al pifferaio magico di Hamelin. Invece sarebbe bastato ricordare all’ex-premier, a proposito di morale, i costi del Superbonus edilizio, quel contributo «a gratis» per usare l’espressione contiana, «che ha sottratto alle casse dello Stato, cioè alle tasche di tutti noi, ad oggi 122 miliardi di euro. Un buco che è destinato a salire (si parla di 200 miliardi) e che rischia di portare le finanze del Paese sull’orlo della bancarotta». Se tutto ciò non è amorale cosa lo è? Solo che la parola d’ordine del Pd targato Schlein è «abbozzare», «porgere tutte e due le guance», chinare la testa per amore del «campo largo». Atteggiamento lodevole, che dimostra uno spiccato spirito di coalizione, ma che se applicato senza limiti rischia di porre le basi di un’alleanza con i 5stelle tutta a spese del Pd.

 

 

In fondo in due giorni Conte si è conquistato la leadership dell’ipotetica alleanza, lasciando al Pd solo un ruolo, quello di gregario. Con un danno d’immagine incalcolabile. Il problema è che il gruppo dirigente ora alla guida del partito è attratto dalla retorica moralista o dal dogma giustizialista come gli antichi dal canto delle sirene: segue il richiamo, ne fa un elemento identitario, al costo di sfracellarsi poi sugli scogli. L’idea di eliminare le mele marce a Bari come a Torino, senza tanto can can, ma con la sobrietà che si addice, appunto, alla morale, non lo sfiora. L’etica per quel mondo si fa con i proclami alla Savonarola, agitando codici pieni di bla bla che alla prova dei fatti restano lettera morta e, magari, additando ai militanti qualche capro espiatorio. Insomma, gli attuali dirigenti del Pd, a cominciare dalla loro leader, non trovano di meglio da fare che reiterare il costume che i 5stelle hanno portato all’estremo, con il rischio di apparire a paragone di questi maestri sempre e comunque secondi. Anche perché i loro interlocutori chiederanno sempre di più. Per usare una vecchia espressione gramsciana, i 5stelle eserciteranno sul Pd una sorta di egemonia.

 

 

Così il principale partito della sinistra sarà sottoposto ogni giorno ad un esame di morale, dovrà mettere sul banco degli imputati i cosiddetti cacicchi, quelli che il Fatto quotidiano a nome dei grillini ha già additato al pubblico ludibrio, a cominciare dal governatore della Campania Vincenzo De Luca. Quei nomi, però, coincidono guarda caso con i personaggi che hanno il maggior consenso elettorale, che sono in rotta con la Schlein e in buona parte appartengono all’ala riformista. Ragion per cui ci apprestiamo ad assistere ad un altro capitolo della saga del masochismo piddino. Il prologo andrà in scena alle elezioni in Basilicata. Il problema è che si può rinnovare un partito, in alcuni casi lo si è anche costretti a fare (Bari e Torino), come pure è giusto concedere qualcosa sull’altare di un’alleanza elettorale, ciò che è inaccettabile e innescare processi del genere sull’onda di un diktat odi un ricatto. Perché in politica oltre all’etica, potrà apparire retorico, conta pure l’onore.

 

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