Premierato, lezione di Barbera sui rapporti tra governo e parlamento
Il premierato voluto dalla maggioranza si pone essenzialmente il problema di dare all’Italia, attraverso l’elezione diretta, un primo ministro chiaramente responsabile dell’operato del governo davanti agli elettori e che non sia più solo il primus inter pares rispetto agli altri ministri. Un obiettivo, questo, che compariva già, seppure con diverse modalità, nel programma elettorale dell’Ulivo, nel testo del diessino Salvi alla Bicamerale D’Alema, nell’ordine del giorno Elia del 2001 e nella riforma istituzionale del centrodestra del 2005. Partendo da questa volontà comune, anche se ormai diluita negli anni, non dovrebbe essere impossibile arrivare a un compromesso, anche se per il momento maggioranza e opposizione sono arroccati nelle rispettive posizioni (Schlein ieri ha ribadito che l’impegno del Pd resta quello di fermare «una riforma pericolosa»).
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Resta poi da sciogliere il nodo della legge elettorale, tema cruciale per il momento accantonato, e sono prevedibili nuove tensioni quando si tratterà di porre mano ai meccanismi con cui verranno eletti i parlamentari, visto che – vedi l’Italicum–spesso è stato proprio qui il vulnus principale delle riforme. Su tutti questi temi molti spunti interessanti sono giunti dalla presentazione a La Sapienza del libro "Lineamenti della posizione costituzionale del presidente del consiglio dei ministri" di Alberto Predieri, che risale al lontano 1951 e al quale ha partecipato anche il presidente della Corte Costituzionale Augusto Barbera. Pur non entrando nel dibattito politico sul premierato, è stato ribadito un concetto importante sui rapporti tra governo e Parlamento. Negli ultimi anni si è parlato molto degli eccessi di potere del governo, che sono indubitabili, vista la mole di decreti legge, di questioni di fiducia e di maxiemendamenti piovuti sulle Camere, tanto che ultimamente si è parlato dell’approdo a un monocameralismo di fatto.
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La lezione di Barbera, anticipata dall’intervento del professor Stefano Ceccanti, ha ribaltato la narrazione prevalente: si è infatti verificata una paradossale eterogenesi dei fini per cui la debolezza del governo, privato dei poteri che normalmente hanno gli altri esecutivi europei, si è trasformata in altre forme di poteri anomali. Per riportare nell’alveo corretto i rapporti tra governo e Parlamento, dunque, bisognerebbe eliminare gli elementi patologici del nostro sistema e rafforzare "fisiologicamente" l’esecutivo, perché nessuna democrazia può funzionare a colpi di fiducia, né in modo assembleare. In questo senso, è giusto ricalibrare i poteri del governo sia nel rapporto con l’elettorato che col Parlamento. Ognuno ha la sua ricetta, ma sarebbe un grande passo avanti se si smettesse di scambiare la causa (la debolezza endemica dell’esecutivo) con l’effetto (il suo strapotere in Parlamento). Barbera ha spiegato che non c’è un gioco a somma zero tra Parlamento e governo, e ha messo in guardia dall’errore di considerare le riforme inutili perché il problema sarebbe solo politico. «Le regole istituzionali – ha detto - possono condizionare forme e modi della politica» ricordando che i governi De Gasperi furono sette, e l’ottavo non ottenne la fiducia perché non era riuscito a far scattare il premio di maggioranza con quella che fu definita legge truffa ma che per Barbera non era affatto una truffa, come avrebbe poi riconosciuto la Consulta con la sentenza del 2014 che, entro certi limiti, aprì ai possibili premi di maggioranza.
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Il punto è che «De Gasperi non poté formare il governo per una regola della Costituzione, cioè il voto di fiducia iniziale», un’anomalia che i costituenti vollero nel tentativo di trovare le garanzie contro il tiranno. Non a caso, finita l’era De Gasperi, abbiamo avuto governi molto deboli (in Inghilterra, ad esempio, la regola della fiducia iniziale non c’è). Sono dunque le regole che condizionano la politica – ha concluso Barbera – che ha ribadito un concetto basilare: il Parlamento è forte nel momento in cui ha davanti un governo forte, e le prevaricazioni dell’esecutivo, di qualsiasi colore esso sia, sono un obbrobrio ma anche un segnale di debolezza della posizione istituzionale del governo. In altre democrazie i decreti legge non esistono perché ci sono delle regole del voto a data certa, cioè il governo presenta un progetto che ritiene urgente e si fissa un termine in cui il Parlamento le deve approvare. Barbera si è ben guardato dall’entrare nel merito della riforma, ma le sue riflessioni potrebbero comunque mettere sulla giusta strada il dibattito sul premierato, facendolo uscire dall’attuale muro contro muro.