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Sanremo 2024 e i brand: non si parla d'altro che di quelle scarpe di Travolta

Gianluigi Paragone
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Sono 48 ore che si sta parlando delle scarpe indossate da John Travolta. Non so se ci sia stata una regia, se la Rai sapesse o meno: dicono che chiederanno i danni. Fatto sta che il produttore di quelle scarpe, in platea a godersi lo spettacolo, è riuscito meravigliosamente a imprimere il marchio e il nome - che ovviamente qui non facciamo - nelle chiacchierate quotidiane. Prima coi passi dei balli che hanno reso celebre John Travolta, poi con le polemiche sulla «qua qua dance», fatto sta che il fermo immagine di quelle calzature bianche è ovunque. Meglio di uno spot (che comunque stanno girando). La Rai lo sapeva? Dicono di no. Quindi significa che nemmeno la concessionaria pubblicitaria fosse a conoscenza del siparietto. È inutile mettersi qui a compilare l’elenco degli argomenti a favore di una tesi piuttosto che del suo opposto (certo è che se tutta la gag è imperniata sui passi di danza, è difficile non porsi il problema dell’inquadratura delle gambe e dei piedi), però non possiamo nemmeno far finta che pure l’anno scorso con Instagram accadde una cosa del genere, tant’è che nei giorni scorsi è arrivata la sanzione per pubblicità occulta.

 

 

Nella comunicazione attuale e nella sua scrittura è difficile pensare di congelare un "copione" che gira sui marchi, sui brand, sulle griffe, nel senso che spesso quel brand diventa il contenuto stesso. Gli influencer fanno questo: si avvitano attorno ai brand. Cantanti, attori, modelle o altro: tutti diventano influencer nel momento in cui capitalizzano un proprio esercito di follower nato per motivi diversi. La nuova comunicazione va così. Lo stesso Festival ha compiuto la sua trasformazione puntando su un mondo musicale che stava fuori dalla liturgia di Sanremo. È la viralità delle condivisioni che ha creato una vitalità musicale che oggi permette a genitori e figli di vedere - chi dal televisore chi sul telefonino - lo stesso programma. Pertanto se Amadeus da direttore artistico ha capito il successo della contaminazione e la Rai lo ha seguito perché i risultati parlano chiaro, allora non può essere che Rai Pubblicità per il secondo anno di fila si faccia fregare una fetta grossa di guadagno su una kermesse che già raccoglie di suo ma che non riesce evidentemente a contenere tutto quel che potrebbe capitalizzare.

 

 

Sanremo è un richiamo? I brand cercano in tutte le maniere di intrufolarsi? Ecco, tocca a Rai Pubblicità evitare che su quel palco si "imbuchino" brand di un certo livello. Se nel giro di due anni ti scoppiano due casi clamorosi, i casi sono due: o sanno che il gioco deve andare così, fanno finta di niente e quindi sono complici, oppure se non sono complici significa che non sono sufficientemente strutturati nel senso che non sono attrezzati per un mercato tanto veloce e rapace. Se fosse questa seconda ipotesi, allora io dico: il mercato c’è, fatti vostri se non siete capaci a fare cassa; non pensate però di coprire le vostre mancanze con i soldi del canone. La tv è cambiata.

 

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