Agricoltori, Paragone: la vittoria dei trattori dimostra il fanatismo Ue
«I nostri agricoltori meritano di essere ascoltati. So che sono preoccupati per il futuro dell’agricoltura e per il loro futuro». Anche Ursula von Der Leyen sente odor di elezioni e congela il regolamento sui pesticidi: «Una nuova proposta, più matura, sarà fatta in futuro», dice concedendo così il punto agli agricoltori in rivolta. Delle due, dunque, l’una: o la Commissione guadagna tempo in vista delle prossime elezioni per il rinnovo del parlamento europeo e quindi sostanzialmente prende in giro il popolo dei trattori in rivolta, oppure sta di fatto ammettendo l’eurofanatismo di cui sono intrise le cosiddette politiche green. Siccome a pensare male si fa peccato con tutto quel che andreottianamente ne consegue, pendo più a favore della prima risposta che della seconda; non nel senso che le politiche europee non difettino di propaganda, quanto piuttosto che la Von Der Leyen si stia affannando al fine di ottenere il «suo» bis. Ma è difficile far scomparire dalla memoria tutto quel che la Commissione ha prodotto, gli incontri con Bill Gates e gli altri big della nuova frontiera del cibo sintetico e pratiche quali Farm to Fork, Nutriscore, politiche di apertura a est, sbilanciamento a favore dei grandi gruppi, standardizzazione. Oggi gli agricoltori incassano una promessa preziosa e va bene, ma il punto più pesante riguarda il loro potere negoziale: per quanto sbilanciato rispetto ai grandi interessi, anche i trattori esistono.
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Il movimento dei contadini si allarga a macchia d’olio e, per quanto differisca da Stato a Stato circa le rivendicazioni, ha dalla sua una buona fetta di cittadinanza, finalmente consapevole del lavoro prezioso e assolutamente non riconosciuto compiuto da chi è meno protetto dalle filiere agroalimentari. Lo stiamo vedendo anche a ridosso del festival di Sanremo con l’inaspettata apertura da parte di Amadeus («Io sono un perito agrario», ha voluto ricordare il direttore/conduttore) e di Fiorello: «Le porte sono aperte». Insomma c’è molto di più delle singole rivendicazioni su Irpef o sul costo del gasolio: c’è una questione di feeling - per restare in tema di canzoni - con le persone comuni, le quali finalmente hanno più chiaro che gli agricoltori non sono i responsabili dei rincari, anzi li stanno subendo quanto i consumatori. Gli agricoltori sono schiacciati dalla grande distribuzione da una parte e dalle disposizioni normative soprattutto europee (come quella sui pesticidi) dall’altra. Risultato? Nel giro di pochi anni siamo arrivati a quasi quattromila aziende agricole chiuse perché non reggevano più una situazione produttiva in rosso.
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Sembrerà strano ma ciò che sta soffocando chi lavora con la Terra è la replica delle dinamiche predatorie e lobbistiche che già mettono in ginocchio l’economia reale. Nel settore agricolo sono le aste per ribassare il più possibile i prezzi del grano, del latte, della carne; oppure il pagamento in ritardo, le vendite sottocosto, gli annullamenti di ordini dell’ultimo minuto, il rifiuto di fornire contratti scritti; o la pessima pratica delle aste online attraverso le quali la grande distribuzione chiede ai fornitori qual è il prezzo minimo che possono concedere per un prodotto e lì fissare la soglia come base per la seconda asta a scendere. Senza poi considerare tutto quel che già abbiamo visto con pesticidi e glisofato. «I prezzi pagati agli agricoltori devono coprire i costi di produzione e garantire un reddito dignitoso. I nostri redditi dipendono dai prezzi agricoli ed è inaccettabile che questi siano soggetti a speculazioni finanziarie», dicono gli animatori della protesta. Noi siamo d’accordo, ci sembra il minimo.
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