il commento
Ilaria Salis, l’appello di Annalisa Chirico: l’Italia non resti a guardare
Fascista o antifascista, Ilaria Salis è una cittadina italiana. Se uno stato estero viola i diritti di una cittadina italiana, l’Italia non sta a guardare. Chi scrive non conosce la 39enne lombarda detenuta (in carcerazione preventiva) a Budapest, probabilmente nessuna idea ci accomuna, sicuramente il suo curriculum vitae, tra denunce per resistenza a pubblico ufficiale e cortei assai poco “pacifici”, ci rende distanti anni luce. Eppure mai avrei voluto vedere le immagini di una donna tradotta al guinzaglio in un’aula di tribunale, con le manette a mani e piedi. Un detenuto non smette di essere una persona. Da oltre undici mesi questa donna vive reclusa in condizioni assai severe, con un’accusa di tentato omicidio che potrebbe costarle una condanna a 24 anni di carcere (i due neonazisti malmenati, va ricordato, furono dimessi dall’ospedale con una prognosi di pochi giorni e non hanno mai sporto denuncia nei confronti di Ilaria Salis). Al di là delle (comprensibili) esortazioni a evitare ogni strumentalizzazione, è chiaro che la vicenda è in sé politica perché riguarda le condizioni detentive di un connazionale trattenuto all’estero, nello specifico in un Paese tacciato di deriva antidemocratica, inviso all’establishment europeo ma amico del governo italiano in carica. Il profilo di Ilaria Salis poi non è esattamente quello di una seguace di Fratelli d’Italia: il passato «militante», sulle barricate del mondo antagonista vissuto in prima linea, tra centri social e trasferte oltreconfine, la rendono un soggetto politicamente esposto. Anzi Salis evoca la piaga della violenza politica, tema sensibile per il passato della destra (e della sinistra).
Credo che anche i più acerrimi avversari possano riconoscere che il premier Meloni ha fatto il premier, si è attivata prontamente mediante i suoi canali formali e informali al fine di sensibilizzare i vertici delle istituzioni ungheresi, con il dovuto rispetto e riserbo. Un premier parla con i fatti più che con le interviste (anzi, in frangenti così delicati le parole vanno misurate con estrema cautela). Il recente incontro del padre di Ilaria, Roberto Salis, con il presidente del Senato Ignazio La Russa, seguito a quello con il ministro Carlo Nordio e ai contatti diretti con il vicepremier Antonio Tajani, ha chiarito la sostanza di un impegno corale e fattivo delle Istituzioni italiane, al di là delle simpatie e antipatie politiche. «È giusto difendere il diritto al rispetto e alla dignità», ha scandito il presidente La Russa al termine del colloquio riservato, sgombrando il campo da ogni ambiguità. Il messaggio è chiaro: l’Italia è convintamente al fianco di Ilaria Salis e della sua famiglia perché, qualunque atto questa donna possa aver commesso, ogni persona ha diritto a un trattamento rispettoso della dignità umana.
Sempre il presidente La Russa ha ribadito la necessità di «non umiliare il detenuto, anche quando è accusato di reati gravi», e, da avvocato esperto, ha indicato una possibile strategia giudiziaria volta all’ottenimento di una misura attenuata, gli arresti domiciliari presso l’ambasciata italiana a Budapest (sulla falsariga di quanto accadde con i marò in India). Non si tratta di impartire lezioni all’Ungheria, anzi è sacrosanto il rispetto per la sovranità di un Paese alleato, ma l’Italia non può accettare che la dignità di una connazionale venga umiliata, in barba ai più elementari princìpi dello stato di diritto. La centralità della persona umana è il perno delle società occidentali e cristiane, l’Italia ne sta dando prova.