editoriale
Nomine nella cultura, si chiama alternanza democratica
Dopo la giustizia, la Rai, gli incarichi pubblici e persino il femminismo, ora pure la cultura deve essere di esclusivo appannaggio della sinistra. E il bello è che rivendicando in continuazione questa presunta superiorità, i radical-frignoni ottengono come unico risultato l’apparire (e confermarsi) rosiconi, incapaci di conquistarsi ruoli per meriti ma pretendendoli.
L'ultima polemica è sulla nomina di Luca De Fusco a direttore del Teatro di Roma voluta dal presidente della commissione Cultura, Federico Mollicone. Nulla di irregolare. Salvo il fatto che a farla è il centrodestra, tanto che lo slogan (nuovissimo) è «La destra tolga le mani dalla cultura». Perché si sa, del resto, deve essere tutta «robba de sinistra». Come era capitato agli Uffizi, al salone del libro di Torino, alla Biennale di Venezia: ogni volta che la sinistra perde una poltrona sbraita, alterna grida a lacrime denunciando atteggiamenti antidemocratici, assalto alla diligenza, occupazione di potere. Cose che conosce bene, visto che sono tutti, ovunque, sempre compagnucci. Come in Rai.
Il Governo Meloni sta semplicemente spezzando una egemonia che dura da circa sempre. Senza sostituirla con un’altra ma riequilibrando e applicando un principio sconosciuto a sinistra: alternanza democratica.