editoriale
Salvini sotto processo, in tribunale il teatro dell'assurdo
Più del vedere un ministro costretto in un’aula di tribunale per ore di interrogatorio mi sorprende l’assurdità del motivo: il processo cui Matteo Salvini si sottopone a Palermo non è per il suo agire ma per aver applicato il programma politico con il quale è stato eletto. Se sterilizziamo lo sguardo da ideologie, simpatie, populismo ci ritroviamo nel teatro dell’assurdo. Se sterilizziamo lo sguardo dalle ideologie, dalle simpatie personali, se usciamo dalle tifoserie populiste semplificatrici (pro o contro migranti) e ci limitiamo a seguire il processo e ad ascoltare gli interrogatori sembra di trovarsi in un teatro dell’assurdo, nell’accezione primordiale esistenzialista a Jean-Paul Sartre e poi di Albert Camus.
Così ogni dialogo appare svilente (sia le domande sia le risposte) e ogni attore coinvolto, tutti costretti a recitare una parte con esiti spesso comici nonostante il senso tragico del dramma oggetto del contendere. L’assurdo, appunto. È indubbio che Salvini, tentando di limitare gli sbarchi, ha agito nel rispetto della legge e dei principi costituzionali rispondendo al mandato elettorale e da ministro a tutela della sicurezza del Paese e dei suoi confini. L’accusa invece vuole dimostrare che rimandando lo sbarco di un gruppo di migranti soccorsi dalla nave della Ong spagnola Open Arms – e proponendo (legittimamente e logicamente) di proseguire verso casa loro: la penisola Iberica – Salvini avrebbe commesso il reato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. Se usiamo la logica, l’evidenza, non pensiamo al soggetto coinvolto già l’accusa fa sorridere (amaramente): l’imbarcazione ha attraversato acque internazionali e già Malta (come spesso accade) invece di accoglierla ha intimato di proseguire verso l’Italia che è stata contattata mentre non era sul territorio nazionale (a differenza dell’isola) e quindi avrebbe potuto serenamente proseguire fino alla Spagna, paese della Ong.
Vogliamo non farne una questione di Paesi? Allora basterebbe ricordare il precedente della nave Gregoretti della Guardia costiera italiana che con 164 migranti lasciati a bordo sempre dal ministro Salvini nel 2019. All’epoca fu la Procura di Catania a indagare per i medesimi reati (sequestro di persona e abuso d’ufficio) il segretario della Lega. Il giudice delle indagini preliminari, Nunzio Sarpietro, decise però per il non luogo a procedere stabilendo che non vi erano elementi per mandare a processo Salvini. Anche qui fa sorridere (molto amaramente) scoprire che in Italia nell’anno 2024 non solo la legge non è applicata ovunque allo stesso modo ma che la decisione di un giudice non ha alcun valore per un altro.
Quindi ogni tribunale d’Italia potrebbe incriminare Salvini per i medesimi reati. Uno, dieci, cento processi in altrettante città. Tanto per rimanere nel teatro dell’assurdo. O, a ben vedere, oltre l’assurdo.