il commento
Ue, l’affondo di Paragone: 25 anni di euro, una moneta senza politica
Venticinque anni di euro, di moneta unica. Tre quarti di secolo. Eppure le ricorrenze si sono ridotte a poca cosa: strano se pensiamo che la moneta unica era stata salutata come il passo più importante, come la moneta che avrebbe creato gli europei prima ancora dell’Europa. Evidentemente non era il caso di accendere troppi riflettori su un’operazione politica pilotata troppo dall’alto, che ha scollato la politica dalla finanza e che dalle logiche finanziarie non si è mai evoluta. L’altro giorno, Angelo Panebianco sul Corriere così analizzava: “Ma davvero l’Europa, in questa fase storica, non è in grado di fare nulla di più e di meglio del patto di Stabilità? È questo l’unico atto solenne a cui affidiamo la guida dell’Europa negli anni a venire?”. Una domanda che abbiamo rilanciato tante volte ma che non vuole essere affrontata per paura del redde rationem. Panebianco prova una messa a fuoco di cosa sia l’Unione europea oggi. “È tante cose naturalmente: il mercato unico, la moneta comune, una complessa architettura istituzionale, una gran mole di norme. Oltre a ciò, è un club di Stati tenuti insieme dai vantaggi (asimmetrici dirà qualche riga oltre ndr) che ricavano dall’appartenenza al club e dalla comune consapevolezza di quanto sarebbe costoso (Brexit insegna) andarsene”.
Provo a metter giù alcune altre considerazioni partendo proprio dallo spauracchio dei costi dell’addio, costi che ovviamente sono e saranno sempre più alti fintanto che continuiamo in una logica dove il benessere e la ricchezza dei cittadini sono ostaggio delle logiche dei patti di stabilità, dei Mes, dei Pnrr e della valanga di interventi che l’Europa è costretta ad assemblare perché la Bce non è una vera e propria banca centrale. E questo non è un punto di secondaria importanza. E allora, dopo 25 anni di moneta unica, per quanto tempo si può pensare di proseguire con generici incantesimi o pericolose trappole senza confrontarsi con un tagliando referendario? Gli Stati Uniti d’Europa non si faranno perché gli azionisti di maggioranza della Ue (Germania in testa) non consentiranno mai di rinunciare al loro imprinting culturale. Così si resta nella gommosità. Non è il caso di ritornare troppo indietro con la memoria ma l’Europa nacque da una parte per la paura della Francia di una Germania unita dopo il crollo del Muro, dall’altra dalla tentazione egemonica della Germania di scrollarsi di dosso il fantasma nazista e nello stesso tempo comandare sul Vecchio continente. Ovviamente l’Italia, invitata a far parte del tavolo nobile solo per paura di un concorrente corsaro in giro (la svalutazione della lira come leva per dare spinta alla propria economia), accettò le condizioni pesanti per non restare fuori. Si può restare fuori allora? Dipende dalle regole attorno.
L’Argentina ha appena annunciato di voler uscire dal cartello dei Brics, un cartello molto attrattivo per i Paesi emergenti, tra l’altro con buoni “agganci” con gli Stati Opec. Ecco, in uno spirito confederale (come dovrebbe essere l’Europa) credo che sia giusto poter contare su norme che consentano agli Stati di stare dentro o fuori, secondo la convenienza. Torniamo quindi alla domanda: cosa resta di questi 25 annidi moneta unica? Una valuta senza un progetto politico, senza una identità. E soprattutto senza una convenienza. Con questa cosa del debito pubblico come peccato originale da scontare (ai tedeschi hanno scontato due debiti pubblici mostruosi) ci hanno impoveriti, hanno cancellato il ceto medio, le sue certezze e i suoi sogni: con la vituperata lira un insegnante o un impiegato pubblico di medio livello facevano studiare i figli e stavano dietro un mutuo della casa. Oggi?
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