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Ponte sullo Stretto, con il “no” il Pd alza le barricate contro il progresso

Cicisbeo
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Con l’approvazione della legge di bilancio, il Ponte sullo Stretto è tornato nel mirino delle opposizioni: l’ineffabile Schlein è pronta alle barricate, Bonelli minaccia un esposto contro l’«esproprio di risorse al sud» e via dicendo. Polemiche di stampo luddista che dimostrano come la sinistra non cambia mai: ricordo ad esempio che il Pci non voleva neppure l’Autostrada del Sole, e il Pds si oppose all’Alta Velocità ferroviaria. Non varrebbe nemmeno la pena polemizzare con questo fronte del no a tutto emblema della politica disfattista. Mi viene in mente però, e la cito, una dichiarazione dell’ingegner Ercole Incalza, ex mega-dirigente del ministero delle Infrastrutture, che di opere pubbliche è il massimo esperto italiano: «Sul Ponte - disse - non posso parlare molto. Le dico solo una cosa. Hanno collegato Danimarca e Svezia con il ponte sullo stretto di Oresund, ventuno chilometri che uniscono un Paese da quattro milioni di abitanti con uno da cinque milioni. E noi italiani, invece, non siamo capaci di collegare sei milioni con cinquantaquattro milioni di persone?». Ecco, appunto: di cosa stiamo parlando?

 

 

Ricordo anche che ai tempi non lontani del governo Draghi il ministro competente invitò ad uscire dallo scontro ideologico che blocca da mezzo secolo il Ponte sullo Stretto ricordando opportunamente che oggi c’è la novità della linea ferroviaria ad alta velocità Salerno-Reggio Calabria inserita nel Piano di Ripresa e Resilienza. Bisogna dunque essere conseguenti, e qui l’ideologia non c’entra: il Ponte va fatto, perché la sfida dell’Alta Velocità per il Sud non può fermarsi a Reggio Calabria se davvero vogliamo trasformare la Sicilia nel più importante hub commerciale del Mediterraneo. E prima ancora, il gruppo di lavoro istituito dalla ministra De Micheli si disse favorevole al progetto bocciando l’ipotesi del tunnel e lasciando aperto solo il dilemma sulla scelta fra una e tre campate, che non può essere certo il pretesto per perdere un altro mezzo secolo. Ci sono mille buoni motivi, insomma, per costruire questo benedetto ponte: prima era il collegamento fra due città, poi fra due regioni, poi fra la Sicilia e il continente, infine è diventato l’anello finale del Corridoio scandinavo-mediterraneo, oltre che uno snodo cruciale per l'Alta Velocità. Sarebbe assurdo, dunque, scendere da un treno veloce a Reggio Calabria, salire su un traghetto e poi trovare un altro treno veloce.

 

 

Considerazioni banali non condivise però ai piani alti del Nazareno, dove risuonano solo parole d’ordine contrarie: «Il Pd sostiene la lotta contro il ponte», «lo Stretto non si tocca», «fermiamo un progetto sbagliato», «dobbiamo unire le opposizioni come sul salario minimo». Una posizione di netta chiusura che contrasta, peraltro, con quella assunta nella passata legislatura, quando il Pd in aula, pur criticando le «fughe in avanti» del centrodestra, si disse convinto della necessità di ammodernare le infrastrutture del sud e di valutare «con attenzione la possibilità di un ponte sullo Stretto sicuro e ambientalmente sostenibile». Ora invece siamo all’indietro tutta, al trionfo dell’ideologia pan-ambientalista contro le grandi infrastrutture che fanno crescere il Paese. Dire no al ponte, insomma, significa dire no al progresso. Calabria e Sicilia sono due regioni che, insieme, rappresentano, dal punto di vista culturale, turistico e identitario, con i loro patrimoni artistici, il fondamento della nostra storia. È il momento di ribaltare un concetto fondamentale: il vero ingresso per il continente non può essere solo il porto di Rotterdam, ma anche quelli del Sud Italia, che non può essere solo l’approdo dei flussi di migranti dall’Africa: deve diventare invece un volano di commerci e di sviluppo, la piattaforma naturale delle navi che attraversano il Mediterraneo. Ma questo non è possibile senza l’Alta Velocità, e non ci può essere Alta Velocità se non si attraversa lo Stretto in tre minuti.

 

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