il commento
Report, l’inchiesta su Zan e De Biase può essere solo la punta dell’iceberg
Domenica sera Report ha messo nel mirino delle sue telecamere i presunti conflitti di interesse dei parlamentari dem Alessandro Zan e Michela De Biase rispetto alle battaglie sulla parità di genere e sul mondo Lgbt+. Qualcuno ovviamente è soddisfatto perché così si dimostra che la trasmissione di Ranucci non guarda in faccia a nessuno e se c’è da “menare” lo fa a destra e a manca. Onestamente mi importa quasi nulla: le inchieste giornalistiche se ben fatte aiutano a farsi un’idea, se invece difettano di elementi omessi per tenere in piedi la tesi allora mancano di rispetto al giornalismo, oltre che alla verità. Ma questo appunto è un altro discorso. Report ha il pregio - e non l’ho mai nascosto - di scandagliare laddove non tutti vanno; hanno un loro punto di vista, è noto, e godono se la preda arriva da un certo “ecosistema politico”. Siccome il giornalismo di inchiesta fa bene agli ascolti, la Rai dovrebbe tenersi stretta Report e far crescere trasmissioni analoghe come nel caso di Far West di Salvo Sottile, unica nota positiva della nuova inconsistente gestione. Ma torniamo all’inchiesta di Report dedicata a Zan e alla De Biase e agli agganci che hanno col mondo lgbt+.
Al di là della vicenda sul conflitto di interesse dei due, vero o verosimile o addirittura falso (da notare come i diretti interessati, tanto a destra quanto a sinistra, commentino con le stesse parole...), quello che andrebbe sottolineato è quanto renda imprenditorialmente il mondo lgbt+, e quanto sia redditizio il business attorno a kermesse tipo il Gay Pride. C’è un mondo di locali, di start-up, di merchandising e di prodotti di ogni genere, che non conosce crisi anzi si alimenta con lo sprint di certe battaglie politiche e con certi politici in particolare. Quello che Report non mette a fuoco (perché si limita alla ricostruzione del mero conflitto di interesse) è la complessità di questa nuova pedagogia imperniata sulla identità liquida; è una filosofia che muove business. Le battaglie politiche sono un pezzo dello stesso marketing, la polemica un veicolo pubblicitario per lanciare il prodotto. E poi ci sono le immancabili agevolazioni fiscali di una catena di associazioni no profit cui si agganciano società di servizi, dove se metti il naso ti appioppano l’etichetta di «anti». È come se fossimo dentro un mercato dei diritti o di diritti che muovono il mercato. Le questioni lgbt+ stanno dentro una logica di conquista sociale, dove ogni spazio va presidiato. Ciò accade in maniera furba e martellante: il diritto lgbt+ non basta mai, ha sempre un pezzo che manca e la mancanza di quel pezzo «deve» essere una conquista di tutti altrimenti chi si sottrae discrimina o è omofobo.
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In questa campagna di conquista e di nuova pedagogia ci vogliono «armi» e soldi: le «armi» sono quelle politiche e di marketing. Quanto ai soldi... beh quelli sembrano non mancare mai per finanziare le attività. Tra l’altro chi investe sulla clientela lgbt+ fa un buon investimento, a rischio d’impresa ridotto perché la comunità si muove compatta e viene controllata attraverso l’uso della comunicazione e del marketing. Una volta un disabile mi disse: «Come esclusi e discriminati siamo scarsi; evidentemente i nostri problemi non muovono grandi interessi visto che le barriere sono ancora tutte davanti a noi». Il mondo lgbt è molto fashion, tira su Instagram e fa tendenza; le carrozzelle e le malattie no. Zan e la De Biase hanno un conflitto di interesse, come dice la trasmissione di Ranucci? Non so se in senso stretto, ma in senso largo, cioè politico, certo che lo hanno visto che stanno dentro quella campagna di conquista di ogni spazio e con le logiche di chi s’è detto. Poi può darsi poi che la ricostruzione di Report abbia centrato anche un business condizionato dalla posizione politica ricoperta dai due, ma allora a quel punto i filoni su cui fare inchieste giornalistiche si moltiplicano, dalla cultura all’energia le aule parlamentari sono piene di chiacchiere in tal senso.