il commento

Il vero nemico dell’Europa sono gli eurocrati e chi vuole il nuovo Patto di Stabilità

Augusto Minzolini

Non è dato sapere se il governo avrà il coraggio di porre il veto sul nuovo patto di stabilità di fronte agli ukase della Germania per regole di bilancio più rigide su riduzione del debito e del deficit. Dico solo che non sarebbe sbagliato, anzi tutt’altro, perché rischiamo di essere costretti a indossare una camicia di forza che ipotecherà nei prossimi anni lo sviluppo della nostra economia. Come pure sarebbe auspicabile che il duello con Berlino trovasse concordi sia la maggioranza che l’opposizione, perché i governi passano mentre le regole restano e se errate possono condizionare negativamente anche le politiche degli esecutivi futuri. Si tratta di una battaglia che dovrebbe chiamare a raccolta l’intero «sistema» Italia perché in Europa si dovrebbe andare facendo l’interesse del Paese non dei partiti: Matteo Salvini, ad esempio, dovrebbe rendersi conto che il suo alleato olandese, Wilders, è uno dei peggiori avversari delle tesi (più che ragionevoli) portate avanti con sano pragmatismo dal suo ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Come pure i nostri partner a Bruxelles, Germania in primis, dovrebbero essere consapevoli che è inutile riempirsi la bocca di retorica europeista se poi proprio su questioni così delicate si mina l’unità dell’Unione e, contemporaneamente, si alimenta nelle opinioni pubbliche dei 27 Paesi una certa diffidenza verso l’idea di Europa.

 

 

Il vero nemico dell’europeismo non è il folklore sovranista, ma chi vuole un nuovo Patto di Stabilità che non si faccia carico delle esigenze di tutti gli Stati membri. Basta guardare i sondaggi. La politica tedesca del governo socialdemocratico del cancelliere Scholz fa più male all’Unione dell’ultradestra che si raduna a Firenze e che a Bruxelles non conta niente. Anzi, è proprio la politica scellerata di Berlino che rischia di regalarle un peso maggiore nel prossimo Parlamento europeo. Quindi le regole debbono esserci come pure i vincoli che hanno la funzione di imporre un’adeguata disciplina a tutti 27, ma a condizione che siano regole giuste e che vadano incontro agli interessi dell’Unione e di tutti i Paesi, non solo di un parte. Per tutti gli Stati l’Europa deve essere un’occasione non un ostacolo. Per cui non si può non essere d’accordo sul fatto che si debba ridurre il debito di alcuni Paesi, innanzitutto il nostro, e che sia necessario lavorare sul deficit, ma la tabella di marcia per raggiungere l’obiettivo può essere declinata in modo da non bloccare lo sviluppo della nostra economia perché senza sviluppo non si hanno neppure le risorse per ridurre il debito.

 

 

E, altro punto, anche le spese che vengono sostenute per rispettare le promesse fatte alla Ue - vedi la conversione ambientalista o, chessò, l’appoggio all’Ucraina - non possono essere conteggiate nel calcolo del deficit perché altrimenti si induce un paese a non rispettare gli impegni. Specie se poi la posizione del governo tedesco è all’insegna del paradosso: da una parte in Europa sposa una visione ideologica della politica del rigore, che spesso ha ragioni elettorali di politica interna; dall’altra, invece, esclude 60 miliardi utilizzati per la transizione energetica dal bilancio. A Berlino l’ideologia, appunto, non va a braccetto con la prassi. Ecco perché proprio per difendere l’Europa c’è bisogno di dire dei e porre dei veti. Un atteggiamento che va assunto in maniera lineare, spiegabile, senza strappi. A volte un «veto» pragmatico è meglio di un «sì» retorico. E proprio per non alimentare l’idea che siamo contro l’Europa si potrebbe accompagnare un ad un nuovo Patto di Stabilità ingiusto, con un «sì» ad un Mes che non utilizzeremo mai. Sarebbe la prova che il nostro governo non è affetto da nessuna pseudo-ideologia.