Il fanatismo jihadista di Hamas è come l'Isis: l'ideologia oscura verità e coscienze
I corpi senza vita di due presunte spie di Israele sono trascinati per strada, dileggiati e al grido di «Allahu Akbar» appesi a un palo della luce. La scena si è svolta non nell’inferno di Gaza dove imperano i tagliagole di Hamas, ma in una città della Cisgiordania, Tulkarem, governata dall’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen, considerata l’unico interlocutore possibile di Israele dopo che sarà finita la guerra. Ma anche lì, evidentemente, vige una giustizia sommaria che apre un’amara riflessione sulle presunte differenze tra il terrorismo di Hamas e il popolo palestinese, accomunati invece dall’odio atavico contro l’entità sionista e dalla volontà di spazzarlo via “dal fiume al mare”. Per cui i sospettati di “collaborazionismo” non meritano né un regolare processo né un briciolo di umana pietà. Uno dei due giovani barbaramente uccisi si chiamava Hamza Mubarak, aveva 31 anni e insieme a un’altra “spia” è stato linciato da una folla inferocita ed è stato poi appeso a testa in giù a un palo di metallo, mani e piedi legati, mentre centinaia di civili (nel senso che non erano militari, non certo per il significato più alto del termine...) applaudivano, infierivano e ridevano sguaiatamente. Nessun rispetto nemmeno per la morte, dunque: da quelle parti se sei sospettato di contiguità con Israele scendi al livello degli ebrei e appartieni quindi a un’umanità inferiore, come dice il Corano, per cui non hai diritto a una degna sepoltura. Anzi: le gambe ti vengono tagliate e il tuo corpo gettato in un mucchio di spazzatura come, appunto, un rifiuto umano.
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Ebbene: cosa c’è di diverso, in questa macabra esecuzione, rispetto agli orrori perpetrati il 7 ottobre nei kibbutz israeliani, quando i guerriglieri di Hamas hanno trucidato centinaia di israeliani, stuprato giovani e vecchie e asportato i seni delle ragazze per giocarci a palla? Siamo a un livello di violenza estrema e disumana, che unisce la crudeltà più efferata alla volontà omicida e prevede la profanazione dei cadaveri come ultimo dileggio. Purtroppo, il risveglio del jihadismo fanatico ha disseminato di tante vittime occidentali la sua folle strada, basti pensare ai massacri del Bataclan, di Charlie Hebdo e di Nizza. Nessuno immagino ricordi più Louisa e Mare, due ragazze scandinave in vacanza in Marocco: accampate alle pendici del monte Toubkal, a 70 chilometri da Marrakech, furono rapite e stuprate da quattro arabi che, proprio come gli assassini di Hamas e dell’Isis, filmarono con i cellulari le atroci torture inflitte alle vittime: uccise con due coltellate alla gola e poi decapitate, con gli aguzzini che sputarono sulle loro teste. L’unica loro colpa era quella di essere bianche ed occidentali, e per questo, forse, la notizia di questo orrore non provocò particolare sdegno nel femminismo mondiale, e oggi che il movimento per la liberazione della donna si è schierato dalla parte di Hamas e non delle israeliane stuprate si comprende meglio il perché.
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Il paradosso delle manifestazioni di sabato, sconfinate in un delirio ideologico che nulla aveva a che fare con l’uccisione della povera Giulia Cecchettin, porta inevitabilmente a riflettere sui motivi per cui una parte dell’Occidente sta rinnegando sé stesso e i propri valori: è incredibile che donne europee inneggino agli aguzzini delle donne islamiche vittime dell’apartheid di genere attraverso la sottomissione, la segregazione e l’esclusione dalla vita sociale, mentre sono nemiche di Israele dove c’è libertà assoluta e parità di diritti. Eppure per le nostre femministe il 7 ottobre non è stato un pogrom di donne e bambini, ma il giorno in cui il popolo palestinese ha ricordato al mondo di esistere opponendosi all’occupazione coloniale sionista e rifiutando di condannare Hamas. Perché Hamas non è la peggiore espressione del terrorismo islamico, ma la “resistenza”. L’ideologia, purtroppo, oscura la verità e le coscienze.
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