il commento

Israele-Hamas, niente sconti: c’è un aggressore e un aggredito

Cicisbeo

Stavolta non dovrebbero esserci proprio dubbi o distinguo: nella nuova guerra scoppiata in Medio Oriente mezzo secolo dopo quella del Kippur c’è un aggressore (Hamas) e un aggredito (Israele). Invece in Italia, nonostante gli orripilanti video di inermi cittadini israeliani sgozzati, la sinistra extraparlamentare ha parlato esplicitamente di «legittimi attacchi palestinesi» accusando chi difende Israele di non aver a cuore «l’autodeterminazione dei popoli». Allora è il momento di rinfrescare la memoria a questi sinceri antidemocratici che allignano in Occidente sognando un mondo dominato dai suoi nemici: oggi più che mai Israele rappresenta il paradigma della civiltà occidentale, e la salvaguardia della nostra civiltà si traduce nella difesa del diritto di Israele all'esistenza. Un diritto che fu messo in discussione fin dal giorno della sua nascita, il 14 maggio del 1948, quando gli eserciti arabi mossero immediatamente guerra semplicemente perché lo disconoscevano. Dopo la sconfitta del giugno 1967 (la guerra dei Sei giorni) ci fu un salto di qualità, e dall'odio nei confronti di Israele e degli israeliani si passò all'odio nei confronti degli ebrei in quanto ebrei, indipendentemente dalla loro nazionalità. Dunque, oggi più che mai sarebbe nostro dovere difendere Israele per difendere la nostra libertà e il futuro dei nostri figli.

 

 

Parlo al condizionale pensando soprattutto all’Europa e alle sue storiche ambiguità, e mi viene in mente ad esempio che, nel 2014, la Corte Generale Ue per «motivi procedurali» tolse Hamas dalla lista delle organizzazioni terroristiche donando una giornata trionfale all’isterica nevrosi anti-israeliana. Già, perché l’Europa ha sempre tenuto nel mirino lo Stato d’Israele attraverso sanzioni, boicottaggi e condanne per «la violazione dei diritti umani a Gaza», fino al riconoscimento «in linea di principio» dello Stato palestinese da parte dell’Europarlamento. Eppure dall’inizio della sua storia Israele non ha mai iniziato un conflitto, ma ha sempre reagito ad attacchi contro l'integrità del suo territorio e contro il suo popolo, e quando ha colpito Gaza lo ha sempre fatto in risposta alle piogge di missili lanciati da Hamas, l’organizzazione che ha nel suo statuto fondativo la cancellazione dello Stato ebraico, esattamente come l’Iran, lo Stato canaglia che la rifornisce di soldi, di assistenza militare e di armamenti. Sono Hamas e l’Iran, dunque, gli unici responsabili di questa escalation militare, e Hamas non può essere un interlocutore credibile né la soluzione del problema, perché è «il problema», essendo parte integrante di una guerra santa condotta con ogni mezzo - incluso il farsi scudo della popolazione civile - nel quadro di un disegno molto più ampio che mira a imporre l’espansione globale dell’Islam fondamentalista. Ora Israele rischia di trovarsi stretto in una terribile tenaglia se la pioggia di fuoco partirà anche dal sud del Libano ostaggio di Hezbollah, il partito di Dio amico di tanta sinistra italiana: non a caso quando Salvini lo definì un’organizzazione terroristica, D’Alema insorse eccependo che si trattava invece di un movimento «che il terrorismo lo combatte», con un grottesco rovesciamento della realtà. Del resto, quando era ministro degli Esteri del governo Prodi, D’Alema si fece orgogliosamente fotografare nelle strade di Beirut a braccetto con un deputato di Hezbollah che aveva appena definito l’Europa «un ridicolo burattino nelle mani di Washington» ribadendo la volontà di non riconoscere mai lo Stato di Israele.

 

 

Ora la situazione è precipitata e dopo mesi di lacerante scontro politico Israele si è ricompattato di fronte alla minaccia esterna, e ci sarà tempo per leccarsi le ferite, accertare cos’ha provocato le spaventose falle nel sistema di sicurezza e regolare i conti interni: qualcuno dovrà infatti pagare dopo il più tragico rovescio bellico nella storia del Paese. Israele è abituato a sbrigarsela da solo, ma sarebbe l’ora che l’Europa battesse un colpo riconoscendo una volta per tutte che nessuno Stato sovrano può tollerare l'aggressione che Hamas porta da anni al territorio di Israele, e che reagire è un sacrosanto diritto. Va detto chiaro: nessuna tregua potrà mai tradursi in una pace duratura finché Gaza sarà in mano ad Hamas, e il tentativo di sradicarne una volta per tutte le basi non può essere considerato una violazione del diritto internazionale, né un eccesso di legittima difesa. A questo proposito ricordo come un raggio di luce l’appello lanciato qualche anno fa da 76 intellettuali francesi i quali, rompendo il muro del conformismo culturale, ebbero il coraggio di scrivere che «Hamas non mira alla creazione di uno Stato palestinese, ma alla distruzione dello Stato ebraico». Ma non posso dimenticare che troppe casematte culturali di casa nostra sono ancora pervase da un antisemitismo strisciante nascosto dietro l’usbergo dell’antisionismo, che sono però due ipocrite facce della stessa ignobile medaglia.