l'editoriale
L'ossessione di Saviano per il governo
Saviano ci prova ma proprio non riesce ad ascendere al ruolo di intellettuale. Alla logica in lui prevale l’acredine personale. Così, invece di analizzare i fatti, si lascia andare a semplificazioni, commenti da bar. Ieri, in occasione della scomparsa di Messina Denaro, ha confermato la tesi di quanti ritengono la sua immagine da maître à penser costruita sul nulla. Ha scritto: «Il boss è morto, l’Italia continua a essere un paese a vocazione mafiosa». Una frase aberrante. Ha insultato l’intera popolazione, mostrando fra l’altro una notevole propensione alla resa e assoluta indifferenza. Parole in libertà, totalmente prive persino del più basico dei ragionamenti.
Già in occasione della cattura di Messina Denaro a gennaio, dopo 30 anni di latitanza, invece di gioire del risultato Saviano se l’è presa con il governo: «Questo è uno degli esecutivi meno antimafiosi che ilPaese abbia avuto». Le forze dell’ordine? Gli uomini dell’Arma? I magistrati che per decenni hanno smantellato la rete di protezione attorno al boss? Niente. Ancora: “La predilezione (della mafia) per la destra è testimoniata da una infinità di atti e documenti”. Quali? Non si sa. Appare evidente quanto a Saviano poco importi la lotta alla criminalità o gli arresti di padrini, ma piuttosto screditare e attaccare questo governo. Del resto ha più volte insultato Matteo Salvini – arrivando a definirlo lo scorso luglio «il ministro della malavita» – e accusato Giorgia Meloni (oltre a darle della bastarda) di essere corresponsabile della morte di un bambino in mare. Per questo è a processo per diffamazione con l’aggravante di attribuzione di un atto determinato. Perché non basta dirsi o sentirsi intellettuale per esserlo. Serve capacità di ascolto, analisi, profonda a volte anche dolorosa obiettività. Lo diceva Leonardo Sciascia e lo era Leonardo Sciascia. Un gran rompiscatole, che ha raccontato con profondo coraggio e onestà la mafia quando in Italia veniva negata l’esistenza stessa della mafia. È inciampato sui professionisti dell’antimafia – con un articolo del 1987 sul Corriere nel quale criticò anche la nomina di Paolo Borsellino – per poi ricredersi e rivedere profondamente il suo giudizio. Capita. Chi non vuol vendere nulla né farsi asta per alcuna bandiera sa correggersi.
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Merita ricordarlo però il passaggio in cui bolla i magistrati antimafia siciliani come «eroi della sesta». Ricordarlo a quelli che «hanno corta memoria o/e lunga malafede e che appartengono prevalentemente a quella specie (molto diffusa in Italia) di persone dedite all’eroismo che non costa nulla e che i milanesi, dopo le cinque giornate, denominarono "eroi della sesta"». Matteo Messina Denaro è morto. L’ultimo boss. Catturato dalle forze di questo Stato, l’Italia. Che è tutto fuorché a vocazione mafiosa. Se ne faccia una ragione, Saviano. Ma continui pure a propagandare i suoi libri e i suoi film in giro per il mondo raccontando il Paese che più gli fa comodo.